“Morire non è molto più che dimenticare”. In questa frase è racchiusa l’intera filosofia di vita e tutto l’universo poetico-espressivo del grande artista francese Jacques Henri Lartigue.
Si, perchè più di ogni altro fotografo della sua generazione Lartigue fu l’esponente di una tendenza creativa che privilegiava il non vedibile, l’attimo estetizzante del movimento, il nulla del divenire, la sospensione dell’esistenza. La sua, dunque, è stata autentica poesia della visione, divagazione lirica dello spazio-tempo, ricerca di un vuoto profondissimo e denso di sensazioni interiori. Spesso lo si accusa di aver attraversato il novecento in una sorta di dorato isolamento aristocratico, senza alcun contatto con gli incredibili e drammatici eventi che si verificavano in Europa. Ma non sempre il compito dell’artista deve essere quello di documentare la storia. Lartigue viveva in una dimensione creativa “altra” che si concretizzava in una fotografia modernissima sotto il profilo grafico e compositivo e per certi versi trasgressiva sotto quello contenutistico, come nel caso del celebre scatto (1919) in cui Bibi, la sua giovane prima moglie, è ritratta nella toilette.
Per celebrare il genio di questo filosofo dello sguardo è stata allestita a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, una sua personale denominata La scelta della felicità. La mostra, accompagnata da un pregiato catalogo edito da Federico Motta, comprende centocinquanta opere di Lartigue oltre ad un’ampia sezione dedicata ad immagini tratte dai suoi album personali.
Il fruitore dunque, attraversando le sale del Palazzo delle Esposizioni, ha la possibilità di entrare nell’esistenza di Lartigue attraverso foto private, che rappresentano la sua vita di tutti i giorni, e di proseguire poi il proprio viaggio all’interno della sua arte grazie un percorso fotografico che fa emergere tutto il talento di questo ricco e colto alto borghese, pittore per vocazione che fino agli anni sessanta non osava definirsi fotografo, se non per diletto.
Ciò che emerge con chiarezza dalla mostra sono le tre linee stilistico-espressive che caratterizzano la sua opera. Una concentrata sugli aspetti apertamente tecnologici dell’evoluzione della società del primo novecento. Le automobili, le gare, i piloti immortalati da Lartigue ci raccontano di un fervore futuristico in cui la velocità veniva considerata un valore in sé. Un’altra tutta basata sulla tensione verso la rappresentazione statica del movimento, resa possibile da paradossali scatti che ci mostrano esseri umani “in volo”, bloccati durante un esercizio ginnico oppure in posizioni plastiche.
Infine, una terza, forse la più significativa, quella dedicata all’universo femminile. Lartigue agisce in tal senso come una sorta di detective della sensualità: gli abiti lunghi e morbidi, le stoffe, i cappelli che nascondono i visi. Le donne diventano creature distaccate, fantasmi che si aggirano nel mondo reale con sublime delicatezza. Ma l’aspetto che più colpisce è la capacità di Lartigue di esprimere attraverso un’immagine tutta la carica erotica delle modelle da lui ritratte. Nel caso della famosa foto Reneé (1931), vediamo una giovane donna seduta su un divano. Gambe e caviglie unite, calze chiare, il vestito sollevato sopra le ginocchia, sguardo dolce ed indolente, potenzialmente perverso, braccia conserte, una mano dalle dita affusolate che tocca un braccio. La giovane ripresa dai piedi alla testa è disposta secondo una lunga e sinuosa linea, una sorta di elegante raddoppiamento metaforico delle forme ideali del corpo della donna. Un autentico capolavoro della fotografia erotica che trasporta la femminilità su un piano quasi metafisico.
©CultFrame 08/2000
IMMAGINE
1 Solange, Neuilly, 1929
2 All’ippodromo di Auteuil, 1911
INFORMAZIONI
Dal 29 luglio al 30 ottobre 2000
Palazzo delle Esposizioni / Via Nazionale 194, Roma / Telefono 064745903
Orario: tutti i giorni 10.00 – 21.00 / chiuso martedì
LINK
Donation Jacques Hanri-Lartigue