Le sue prime opere sugli Indiani d’America, in principio destinate unicamente alla vendita, hanno cambiato il corso della vita di Edward S. Curtis, fotografo autodidatta e proprietario di uno studio situato al centro di Seattle. All’esposizione del National Photographic Convention del 1898, le immagini seppiate degli Indiani che lungo le spiagge di Puget Sound raccolgono vongole e cozze, ricevono il Gran Premio. Incoraggiato dal successo e dall’entusiasmo di imprenditori e scienziati, Curtis inizia la sua appassionante ricerca etnologica e fotografica sui popoli indigeni d’America.
Cominciano così trent’anni di lavoro trascorsi tra le comunità minacciate dalla cultura bianca e in via di sparizione. Più di cinquantamila foto coinvolgenti e di grande impatto testimoniano non solo la ricchezza della vita dei Cheyennes, Navajo, Hopi, Apaches e Sioux ma anche la conoscenza tecnica dei procedimenti fotografici e la capacità di rappresentazione di Curtis. Fotoincisioni, carte all’argento e al platino e viraggi svelano il suo rapporto con l’immagine, non solo strumento di documentazione antropologica ma anche vero e proprio mezzo espressivo.
L’opera di Curtis, riconosciuta dal Presidente Roosevelt e sostenuta dal finanziere J. P. Morgan, viene pubblicata in The North American Indian: venti volumi in carta pregiata e rilegati in cuoio, 2200 fotoincisioni, in cui sono racchiuse le abitudini, mitologie e cerimonie di più di ottanta tribù. Ma la sua opera, a metà fra arte e scienza, cadrà nell’oblio e sopravviverà solo grazie alla conservazione messa in atto da musei e biblioteche.
La collezione di Christopher Cardozo, il massimo conoscitore del lavoro di Curtis, è una prova del lavoro arduo dell’artista, il quale osservò a lungo la vita quotidiana di un popolo. Paesaggi, tradizioni e rituali, abitazioni, utensili, vasellame, maschere e danze sacre, una ricchezza che stava per scomparire sotto la pressione della “civilizzazione” bianca. In effetti, quando pubblicò il ventesimo volume nel 1930, di quella civiltà non rimaneva più nessuna traccia.
La mostra al Patrimoine Photographique di Parigi, grazie alle ricerche di Christopher Cardozo, recupera l’immenso lavoro di Curtis e lo propone in vari percorsi attraverso il Sud-Ovest americano, le grandi pianure, la costa del Nord-Ovest, l’Alaska e la California.
©CultFrame 10/2000
IMMAGINE
Un fils du désert, Tribù Navajo, 1904. Coll. Christopher G. Cardozo
INFORMAZIONI
Dal 29 settembre al 31 dicembre 2000
Patrimoine Photographique / 62, rue Saint-Antoine, Parigi / Telefono (+33-1) 42743060
Orario: tutti i giorni 10.00 – 18.30 / chiuso lunedì