Futurismo e fotografia

Nel 1910 Arturo e Carlo Ludovico Bragaglia, rispettivamente di diciotto e sedici anni, effettuano insieme al loro fratello maggiore, Anton Giulio, delle sperimentazioni fotografiche, ricorrendo principalmente a lunghe esposizioni. Anton Giulio colloca i risultati sorprendenti delle immagini nel neonato movimento futurista fondato da Marinetti un anno prima. Si susseguono negli anni a venire le fotografie realizzate a soggetti in movimento come Salutando, Il falegname che sega, Lo schiaffo, L’inchino, Le due note maestre e L’uomo che cammina. Nasce così il Fotodinamismo futurista. L’annuncio ufficiale viene dato sulle pagine della rivista fiorentina Lacerba, ma sarà la pubblicazione del libro scritto da Anton Giulio, intitolato proprio “Fotodinamismo futurista” e corredato da 16 immagini, a scatenare una vera e propria bufera in seno al movimento.

Scrive il pittore Boccioni a Sporvieri, direttore della galleria romana di via del Tritone impegnato nell’allestimento di una mostra futurista: “Mi raccomando, te lo scrivo a nome degli amici futuristi, escludi qualsiasi contatto con la fotodinamica del Bragaglia….”. L’1 ottobre 1913 Lacerba pubblica un “Avviso”: “Data l’ignoranza generale in materia d’arte, e per evitare equivoci, noi Pittori futuristi dichiariamo che tutto ciò che si riferisce alla fotodinamica concerne esclusivamente delle innovazioni nel campo della fotografia”. Firmato il gruppo dei futuristi milanesi guidato da Boccioni, l’acerrimo avversario della fotografia.

Ma perché così tanto accanimento nei confronti della teoria di Bragaglia? Come mai, proprio i pittori futuristi, portatori di novità e affascinati dalle nuove tecnologie e dai suoi effetti sociali, non riescono ad accettare il fotodinamismo come espressione artistica capace di rappresentare la visione futurista?

Una delle ipotesi avanzate dalla critica di settore afferma che Boccioni, in realtà, si autodifende dalle continue accuse avanzate dalla cultura classica di allora nei confronti della pittura futurista, paragonata negativamente alla fotografia e alla cinematografia. La fotografia, già rivale temuta dai pittori, viene così attaccata da Boccioni, il quale ritiene che questa forma di rappresentazione, statica e priva di un proprio linguaggio, non penetri l’interiorità delle cose e non possa ricreare la “sostanza” che riempie lo spazio tra un oggetto e l’altro. La visione realistica della riproduzione, secondo Boccioni, non è che una continuazione della pittura verista, un’opinione questa non condivisa dal pittore Balla, anche lui bersaglio di Boccioni per i suoi dipinti troppo “fotografici”.

Alberto Montacchini
Ma è lo stesso Bragaglia a dichiarare di non considerarsi fotografo. Si difende dalle teorie che lo dipingono come un “collega” di E.J. Marey, padre (insieme a Muybridge) delle cronofotgrafie e dell’analisi sequenziale del movimento. Bragaglia disprezza la ricostruzione meccanica della realtà ed esalta la superiorità del mezzo capace di tracciare la complessità e la traiettoria del movimento. Il fotodinamismo di Bragaglia non è un’imitazione del reale ma un’espressione artistica in grado di riprodurre quel che non è percepito dall’occhio umano. Ma non solo. La vibrazione e l’essenza del gesto, riportati egregiamente in superficie, provocano nel fruitore un forte coinvolgimento emotivo.

Il fondatore del movimento futurista, Marinetti, letterato e meno “minacciato” dalle potenzialità artistiche della fotografia, assume un atteggiamento più mite verso il fotodinamismo e dimostra un’apertura nei confronti di Bragaglia, finanziando le sue ricerche. Scrive la presentazione alla sua mostra alla Sala Picchetti di Roma nel 1912 e lo invita a partecipare alle serate futuriste (quando Boccioni non è presente). Nel 1930 firma, insieme a Tato, il Manifesto della Fotografia in cui si teorizza l’ipotesi di una fotografia futurista autonoma. Potrebbe alludere ad una riconciliazione e ad una convivenza pacifica tra il movimento e la fotografia, ma in realtà questo sodalizio altro non è che un ritorno all’ordine. Il clima effervescente degli anni 10, proficuo dal punto di vista creativo e intellettuale, scompare e Bragaglia è ormai lontano dalle sue ricerche.

Ma le potenzialità del mezzo non sfuggono ad altri membri dell’avanguardia che si cimentano con esposizioni multiple, deformazioni del soggetto e fotomontaggi. Il bisogno di documentare le loro manifestazioni e di diffondere le loro attività li spinge a realizzare ritratti, autoritratti e fotocollage, oggi visibili all’Estorick Collection of Modern Italian Art di Londra in una mostra curata da Giovanni Lista. Centocinquanta rare immagini dello stesso Boccioni, Marinetti, Wanda Wulz, Balla, Carmelich, Maggiorino Gramaglia, Vinicio Paladini, Prampolini, Alberto Montacchini, Masoero e Tato, testimoniano la vitalità degli artisti del futurismo e la loro irrefrenabile curiosità nei confronti di un mezzo espressivo da loro più volte vissuto con sentimenti contraddittori.

© CultFrame 02/2001

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Estorick Colletion of Italian Modern Art, Londra

Orith Youdovich

Orith Youdovich, fotografa, ha abbandonato il reportage sociale per dedicarsi alla fotografia concettuale e da allora dirige il proprio sguardo sul mondo in un continuo processo di analisi del rapporto tra sguardo soggettivo e paesaggio. Svolge attività di ricerca artistica sulla connessione tra fotografia e cinema. Ha esposto in mostre personali e collettive e ha curato esposizioni per Festival di fotografia italiani. E' co-autrice del volume "Il vento e il melograno - Fotografia Israeliana Contemporanea", del saggio "Cosa devo guardare – Riflessioni critiche e fotografiche sui paesaggi di Michelangelo Antonioni" (Postcart, 2012). Curatrice e giornalista, ha curato mostre di fotografia e dal 2009 al 2018 è stata Direttore responsabile della testata giornalistica Punto di Svista – Arti Visive in Italia.

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