Realtà e irrealtà nella fotografia contemporanea. James Casebere, Stéphane Couturier, Luc Delahaye. Rencontres internationales d’Arles 2001

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

james_casebere-arenaCosa cattura l’obiettivo di un macchina fotografica? La luce, innanzi tutto. Gli oggetti, gli individui, gli animali, i paesaggi, le città, le case, gli spazi interni. Insomma, quella che potrebbe essere definita la realtà.
Ma non sempre ciò che vediamo su una stampa fotografica o su una diapositiva può essere ricondotto senza ombra di dubbio allo sfuggente ed enigmatico concetto di reale. La fotografia in genere utilizza degli elementi visivi concreti, li propone al fruitore il quale però, se intende fornire un senso profondo all’atto del vedere, deve necessariamente scavare, rimuovere quella patina di finta oggettività che caratterizza molte immagini.

Sul binomio realtà irrealtà, e sulla sua rappresentazione fotografica, si sono potute vedere ultimamente diverse mostre inserite nel cartellone della 32° edizione dei Rencontres Internationales de la Photographie di Arles. Il tema scelto dagli organizzatori era quest’anno quello dell’L’anonimo, visto attraverso molte sfaccettature: dalla fotografia di strada di Garry Winograd alle creazioni di Patrick Tosani.
Ma le esposizioni che più ci hanno colpito sono state quelle che sono andate oltre l’argomento centrale del Festival, spingendosi quasi in una dimensione filosofica: Asiles et autres lieux comuns dell’americano James Casebere e Villes génériques del francese Stéphane Couturier. Allestite nella suggestiva cornice della Chapelle Saint-Martin du Méjan, le due mostre hanno messo uno accanto all’altro artisti che frequentano tipi di fotografia apparentemente diversi.


stephane_couturier-monumentsCasebere costruisce dei modellini di ambienti algidi, vuoti ed inquietanti, in genere bianchi. Saloni, tunnel, corridoi, (a volte invasi da quella che sembrerebbe acqua) che vengono presentati al visitatore su stampe molto grandi. Il risultato estetico porta ad una sorta di ribaltamento del senso. L’elaborazione “falsa” di ambienti reali appare ad una visione superficiale una rappresentazione di luoghi veri, momentaneamente privi di qualsiasi presenza umana.

Couturier, invece, fotografa grandi e assurdi grattacieli. Riprende queste enormi costruzioni destinate ad uso abitativo privilegiando un’impostazione compositiva frontale e simmetrica. Ne vengono fuori degli scatti che, seppur basati su elementi reali, dei palazzoni di periferia, mettono il fruitore davanti ad una complessa rete di segni che vanno a formare una struttura visiva praticamente astratta.

Insomma, le ricerche espressive di Casebere e Courturier sono le facce opposte delle stessa medaglia.

Entrambi operano un ribaltamento del senso, mostrando chiaramente come l’immagine fotografica, senza particolari accorgimenti e trucchi, possa svelare la fragilità dei concetti di reale ed irreale e, di conseguenza, mettere gli esseri umani di fronte ad un problema esistenziale che potremmo riassumere con le seguenti domande.

E’ possibile affermare con assoluta certezza che gli elementi visibili ai nostri occhi abbiano a che fare effettivamente con la realtà? La fotografia non strettamente figurativa è in grado, attraverso forme, linee e suggestioni cromatiche e luminose, di farci confrontare con i temi della sofferenza, della gioia, della bellezza, dell’orrore, della vita e della morte?


luc_dalahaye-autreIn questo discorso si inserisce anche il lavoro di Luc Delahaye, reporter francese di cui nello splendido spazio del Chiostro di Saint-Trophime di Arles è stata allestita la mostra L’autre. Si tratta di primi piani realizzati dal fotografo sulla metro di Parigi e presentati attraverso gigantografie appese al soffitto. Volti di gente sconosciuta che guarda il nulla, che dal nulla viene e nel nulla scomparirà. Delle anime “anonime” (appunto) che passano davanti al nostro sguardo pochi minuti lasciando in noi solo qualche sensazione, una debole percezione visiva e niente altro. Cosa fanno nella vita queste persone? Chi sono? Dove vanno?

Delahaye ovviamente non dà risposte ma pone il visitatore di fronte ad un quesito piuttosto ingombrante:

quelle che la macchina ha fermato sono le facce di esseri reali o il frutto della nostra immaginazione, dei nostri sogni, magari ad occhi aperti?

 

©CultFrame 08/2001

 

IMMAGINI

1 James Casebere. Arena, 1996. Cibachrome
2
Stéphane Couturier. Monuments, Moscou n. 2, 2000. ©Galerie Polaris, Paris
3
Luc Delahaye. Série L’autre. ©Luc Delahaye/Magnum

 

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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