La 59° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stata caratterizzata da un discreto livello medio delle pellicole, senza però molti picchi espressivi.
I titoli su cui si può concentrare in tal senso sono veramente pochi. Tra questi merita attenzione quello che possiamo considerare il lavoro forse più emozionante e stilisticamente pregevole di tutto il Festival del Lido: Un homme sans l’occident.
Autore di questo lungometraggio è uno dei maggiori fotografi di reportage viventi: il francese Raymond Depardon, il quale non è certo nuovo ad interessanti imprese creative nell’ambito del linguaggio cinematografico.
Tipico esponente di quella scuola di artisti dell’immagine che privilegiano il bianco e nero, Depardon ha fatto vedere senza ombra di dubbio le sequenze più belle di tutta la Mostra. Il film, tratto dal romanzo omonimo di Diego Charles Joseph Brosset, racconta le vicende esistenziali di uno degli ultimi uomini liberi del deserto del Sahara. L’azione è ambientata all’inizio del ventesimo secolo. Alifa (Ali Hamit) è discendente di una tribù di guerrieri ma è stato adottato da alcuni cacciatori del deserto. Diventa così una guida espertissima. Il suo senso della libertà lo porterà però a scontrarsi contro i colonialisti aggressori.
La rappresentazione poetica del paesaggio raggiunge in questo lavoro vertici di lirismo altissimi: campi molto lunghi raffigurano la grandiosità metafisica del deserto, la tensione immobile verso un infinito impalpabile e l’immutabilità di un concetto come il tempo, che sembra quasi sospeso tra la leggerezza della sabbia, la rabbiosa fluidità del vento e la violenza accecante del sole.
Depardon riesce con abilità a sfruttare il bianco e nero non solo come strumento per l’utilizzazione di un linguaggio visivo raffinato ma anche come fondamentale elemento narrativo. Proprio grazie alla sua capacità di modulare con perizia tutte le sfumature dal bianco al nero, il fotografo francese trasforma ogni inquadratura in un veicolo contenutistico di grande spessore. I ritratti degli uomini del deserto, primi piani dal notevole impatto estetico, descrivono strazianti storie di esseri umani, rendendo fattori poetici il loro travaglio interiore e le loro sofferenze.
Un homme sans l’occident percorre il confine che divide il documentario dalla finzione. I dialoghi non sono tradotti, la consequenzialità della vicenda è affidata alla forza assoluta delle immagini e ad una voce narrante fuoricampo (in francese) che con discrezione accompagna le sequenze che scorrono sul grande schermo.
Ebbene, la qualità strepitosa delle inquadrature e della fotografia di questa opera ci permette ancora una volta di sostenere una tesi critica molto chiara. Il cinema contemporaneo è purtroppo contraddistinto da una scarsa attenzione nei confronti dell’immagine. E ciò emerge con chiarezza proprio in occasione di un Festival come quello di Venezia in cui si è costretti a vedere (e comparare) decine di titoli approssimativi e superficiali sotto il profilo visivo. E’ bene dunque che ci si ricordi di una questione centrale: il cinema è l’arte delle immagini in movimento. Una buona sceneggiatura ed un contenuto sostanzioso non sono sufficienti per la realizzazione di pellicole significative.
In tal senso, Un homme sans l’occident rappresenta la sintesi perfetta tra ricerca figurativa e esigenze narrative, un film da non perdere che però sarà molto difficile vedere fuori dai confini francesi.
©CultFrame 09/2002
CREDITI
Un homme sans l’occident / Regia: Raymond Depardon / Soggetto: dal romanzo Shara: Un homme sans l’Occident di Diégo Charles Joseph Brosset / Sceneggiatura: Raymond Depardon, Louis Gardel / Fotografia: Raymond Depardon / Scenografia: Raymond Depardon / Montaggio: Roger Ikhlef / Interprete: Ali Hamit / Paese: Francia, 2002 / Fomato: 35 mm, b/n / Durata: 105 minuti
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Filmografia di Raymond Depardon