Peter Lindbergh è un grande narratore di storie. La sua di storia inizia nella Germania Est vicino al confine polacco, dove nasce nel 1944. Ancora piccolo si trasferisce presso la fattoria dello zio, nelle vicinanze di un paesino del bacino della Ruhr. Lì i suoi orizzonti visivi si dividono tra gli ampi boschi e gli inquinanti impianti dell’industria pesante del dopoguerra. Questo contesto così dicotomico contribuì non poco nella formazione del suo sguardo al tempo stesso nostalgico e impregnato di un decadente post-futurismo.
Sul finire degli anni ’80, l’autodidatta Lindbergh, col suo stile semplice e diretto, che attinge molto più al reportage francese che alla moda, rivoluzionò il concetto stesso di fotografia di moda, che fino ad allora vedeva nelle modelle delle semplici mannequin: il suo romanticismo poetico, venato di intima tristezza, che è un tratto comune ai fotografi d’oltre cortina, permetteva al maestro tedesco di cogliere nei volti di quelle donne, a cui era solitamente richiesta una patinata imperturbabilità, un’umanità fatta di fumosi silenzi e suoni ovattati, di densi sguardi e fragili pensieri, spesso sottolineati da un vitale micromosso o sgranate sfocature. Queste donne altrove così perfette, davanti al suo obiettivo e al suo garbo, si spogliavano non solo dei loro vestiti firmati, ma soprattutto delle loro maschere e dei loro ruoli, del loro empireo algore che le rendeva molto distanti dall’osservatore comune, e con spontaneità rivelavano il loro lato umano e sensibile, le loro paure, la loro normalità, i loro giochi. Donne bellissime finivano per affascinare più con la loro personalità che con la loro estetica, più con il loro carattere determinato o insicuro, infantile o sensuale, piuttosto che attraverso i canoni classici e asessuali della fotografia di moda allora in voga.
Questa è la grande magia di Peter Lindbergh, sulla quale si interroga anche un affascinato Wim Wenders nell’interessante introduzione di questo corposo volume (edito da Arena Editions), che raccoglie la gran parte della produzione del Sultano (così com’è chiamato tra gli addetti ai lavori). Nel libro, la cui stampa purtroppo non è all’altezza, sono presentate molte foto inedite e molto materiale di contorno alle foto: polaroid, provini a contatto, schizzi, appunti… come se esso rappresentasse un lungo diario della sua fotografia negli ultimi quindici anni, in cui collezionare tutto ciò che serve a raccontare e ricordare. Pertanto questo risulta essere un volume molto prezioso anche didatticamente.
Il libro è un susseguirsi di storie che si aprono e si dipanano in un continuo flusso intrecciato di bellezza, quotidianità e sensualità; è invece affascinante ed istruttivo percepire dietro a queste immagini così apparentemente casuali la sapiente e meticolosa regia di Lindbergh. Le storie sono le più disparate: da racconti on the road come White Trash, apparso su Vogue Italia del 11/2001, a saghe aliene come Ufo Crash, dalla bohème parigina di Cordula Reyer del 1988 ad una Milla Jovovich, musa ispiratrice di un reo confesso Lindbergh, nella fuga armata di Gun Story.
Ogni editoriale diventa lo stimolo per creare una storia in cui la moda è solo una scusa. Ciò a cui egli giunge è la descrizione di un’emozione e la demistificazione della vuota bellezza fisica, che perde ogni valore se non viene accompagnata da un’anima e da una personalità.
In questa direzione, nei primi anni ’90, arriva a creare le sue metamorfosi: la donna perde ogni sua femminilità, ogni attrattiva puramente estetica, per lasciare spazio solo al carattere e all’emotività; molte sue modelle vengono spesso vestite e truccate da uomo, imbruttite, e questo è indice più di un atteggiamento sarcastico verso un machismo dilagante che di un ipotetico desiderio di conquista sociale; tuttavia esse mantengono intatto il fascino dato dai loro sguardi fugaci e da sorrisi complici di questa mise-en-scène.
Ma queste foto, come molte di quelle scattate dentro i vecchi impianti industriali o alcune foto di gruppo con le top model più famose, hanno una connotazione estetica molto rigida, un cliché che le rende troppo radicate nel loro tempo e già vecchie oggigiorno, a distanza di soli dieci anni. Restano invece tuttora emozionanti le foto apparentemente meno impostate, quelle più casuali, scattate dentro letti sfatti o lungo strade periferiche, in vecchi teatri, nel mezzo del deserto o nella disarmante ed avvolgente semplicità del suo studio daylight, dove la fragilità dei volti e dei corpi mette a nudo tutto l’amore di Lindbergh per queste donne così belle e così umane.
©CultFrame 12/2002
IMMAGINI
1 Copertina del libro Peter Lindbergh: Stories
2 Peter Lindbergh. Linda Evangelista. Story 21. Copyright ©2002 Arena Editions
3 Peter Lindbergh. Helena Christensen. Story 2. Copyright ©2002 Arena Editions
CREDITI
Titolo: Peter Lindbergh: Stories / Introduzione: Wim Wnders / Editore: Arena Editions, 2002 / 320 pagine / ISBN: 1892041642