Emozioni e poesia nelle fotografie di Giuliano Radici in due libri

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
© Giuliano Radici. Da Cambodia Uno
La fotografia contemporanea sta subendo un’evoluzione ricca, purtroppo, di inciampi e di discutibili derive banalmente commerciali. Il fenomeno della “divizzazione” di alcuni grandi nomi ha creato una sorta di “star-system” del settore, che provoca una standardizzazione delle proposte espositive nel circuito degli enti museali.

Le nuove frontiere della tecnologia digitale, in verità di enorme importanza, hanno però reso più fredda e tecnicistica l’arte fotografica, mentre il reportage sembra essersi impantanato in una ripetitività ormai stucchevole.
Così, per gli addetti ai lavori, appare sempre più necessario andare a cercare delle novità in modo certosino ed autonomo, rispetto agli eventi di carattere internazionale (molte inutili Biennali comprese).

In Italia, ad esempio, esistono diversi nomi di valore che portano avanti una loro idea creativa molto precisa e personale, lontana dalle vuote logiche di una tendenza che potremmo definire con l’orribile termine “trendy”.

Uno di questi è senza dubbio il bresciano Giuliano Radici, artista di assoluta sensibilità visuale che coniuga elaborazione estetica e contenuto in maniera armoniosa ed efficace. I suoi scatti hanno il potere di toccare non solo il cervello del fruitore ma anche, e soprattutto, di sconvolgere positivamente il suo animo. La sua è una fotografia che si basa sulle emozioni, sulle sensazioni interiori e sulla sostanza del visibile, quest’ultima intesa come cellula poetica in grado di far emergere la bellezza di mondi spesso lontani dal nostro sistema di vita.


© Giuliano Radici. Da Cambodia Uno

© Giuliano Radici. Da Cambodia Uno

Due preziose pubblicazioni ci danno l’opportunità di parlare di questo fotografo: Cambodia e
Mia Figlia Indiana dell’India
.

Il primo lavoro è molto ben confezionato. Si tratta di un cofanetto che raccoglie due volumi dedicati alla Cambogia, intitolati semplicemente Uno e Due.

In Uno sono raccolte immagini a colori stilisticamente considerevoli e dalle eleganti variazioni cromatiche. L’obiettivo si avvicina all’oggetto ripreso, le sfocature sono pressoché costanti e forniscono un senso di vitale dinamismo. Il gusto verso il dettaglio si intreccia all’espressività del ritratto. Attraverso questa scelta, Radici intende esaltare la vicinanza nei confronti di un intero popolo, della sua sofferenza. Gli occhi nerissimi e allungati di una bambina, il suo sorriso puro ed appena accennato, il suo volto fresco incorniciato da capelli neri lisci riempiono un’intera pagina. E’ un ritratto frontale, e dalla concezione compositiva veramente commovente, intensa, piena di soave leggerezza e di sincera partecipazione emotiva. Due, invece, presenta diverse stampe collocate nelle pagine in modo tale che venga restituito al lettore il senso del fluire, quasi cinematografico, del racconto. Scatti che si susseguono senza soluzione di continuità, come se si trattasse di una pellicola in scorrimento davanti allo sguardo di uno spettatore. L’effetto mosso e le sfocature trionfano ma anche in questa occasione la raffigurazione dell’universo dell’infanzia ha come sempre suo ruolo fondamentale.

Mia figlia indiana dell’India, il cui ricavato ha uno scopo esclusivamente umanitario, è un volume che possiamo senza dubbio definire pregiato e significativo. La cura dell’edizione è altissima e permette di percepire il vibrante e intimo legame emotivo che unisce Radici all’India. Questa tempesta di sensazioni dell’animo è però abilmente governata dall’autore che descrive il grande paese asiatico attraverso un poderoso e coinvolgente reportage. Lo stile anche questa volta non muta. La sua inclinazione ad avvicinarsi ai soggetti ripresi fornisce al lavoro un’umanità rara. Il lirismo della realtà viene comunicato con fotografie che catturano cose e persone con sacrale, quasi metafisica, semplicità. L’artista sembra prediligere un tipo di inquadratura che potremmo definire alla Ozu (sublime maestro del cinema giapponese). La macchina è a volte posizionata in basso, all’altezza del soggetto immortalato. In questo modo, toglie alla sua azione creativa quel senso di incombente superiorità che caratterizza il lavori di molti reporter occidentali. A Giuliano Radici interessa la vicinanza, la sintonia degli sguardi, il “sentire” comune, la solidarietà, la sfera dei sentimenti e non la cinica rappresentazione della povertà.


In tal senso, con queste due operazioni editoriali, l’autore propone un’autentica lezione di deontologia del fotorepoter, una lezione di cristallino rigore stilistico e di densità contenutistica con la quale ogni appassionato di questo genere dovrebbe prima o poi confrontarsi.


© CultFrame 07/2003

 

IMMAGINI

1 © Giuliano Radici. Da Mia figlia indiana dell’India


CREDITI

Cambodia (Uno – Due) / Fotografie Giuliano Radici / Testi Roberta Valtorta / Ragiuart Edizioni, 2002 / 128 pagine / 75 Fotografie / 60,00 euro / ISBN 88-900987-0-8

Mia figlia indiana dell’India / Fotografie Giuliano Radici / Testi Roberta Valtorta / Editore Prandelli, 1998 / 96 pagine / 57 fotografie / 62,00 euro

 

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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