E’ recente la polemica innescata da Jean Baudrillard su “il dolore fotografato”.
All’apertura di Visa pour l’image 2003, un festival internazionale di fotogiornalismo, il filosofo francese ha criticato l’uso smodato dell’immagine della sofferenza ad iniziare da quello perpetrato dai fotografi. Secondo Baudrillard, il flusso illimitato di tali immagini ha finito per ottundere la sensibilità degli uomini, ha appiattito la loro capacità di riflessione e il loro senso critico. Baudrillard ha deriso, pur rispettando il lavoro svolto dal fotoreporter e sottolineando l’importanza della fotografia oggi, lo sfruttamento delle miserie umane e la mancanza di una autentica partecipazione nel dolore altrui.
Sessant’anni fa, una simile preoccupazione fu espressa da James Agee (1909-1955), scrittore di grande talento, autore del romanzo A Death in the Family (Premio Pulitzer), critico cinematografico, nonché sceneggiatore di registi come John Huston e Charles Laughton:
“Sembra a me curioso, per non dire osceno e affatto terrificante, se accade che un’associazione di esseri umani riuniti dal bisogno e dal caso, e a fini di profitto costituitisi in azienda, un organo di giornalismo, si metta a spiare nell’intimo le vite di un gruppo di esseri umani senza difesa e spaventosamente deprivati … allo scopo di esibire la miseria, lo svantaggio e l’umiliazione di queste vite di fronte a un altro gruppo di esseri umani, nel nome della scienza, del “giornalismo onesto” … dell’umanità del coraggio sociale, e per denaro, e per farsi una reputazione di paladini e di imparziali, reputazione che, con le dovute abili riserve, è scambiabile contro denaro in qualsiasi banca …”
E ancora:
“… Ecco perché la macchina fotografica sembra a me, oltre alla coscienza senza aiuti o armi, lo strumento essenziale del nostro tempo; ed ecco perché provo così gran rabbia agli usi sbagliati che se ne fanno: usi che hanno diffuso una tale corruzione quasi universale della vista che ormai conosco non più di una dozzina di persone vive dei cui occhi mi possa fidare come dei miei”.
Una di queste persone è Walker Evans (1903-1975), che nel 1936 insieme allo scrittore si reca in Alabama per documentare la vita dei fittàvoli nelle cotoniere del Sud americano. E’ la rivista Fortune a commissionare ai due questo lavoro e anche successivamente a respingerlo perché giudicato “troppo vero” e “troppo articolato”. Verrà raccolto cinque anni più tardi nel libro Let Us Now Praise Men, pubblicato in Italia nel 1994 da Il Saggiatore con il titolo Sia lode ora a uomini di fama, e oggi riedito.
Sono gli anni della Depressione, Agee e Evans scelgono di vivere per tre settimane in seno alle famiglie contadine. Evans, con uno sguardo attento e distaccato, Agee, con uno stile passionale e linguaggio ricco, riportano in superficie volti, pensieri, sofferenze di individui aggrediti dalla miseria. Poche, pochissime cose, case di legno, stanze spoglie, mobili poveri, vestiti impolverati, la terra, gli alberi, i sentieri fanno da decoro a una vita di lotta per la sopravivenza senza una via d’uscita.
Sia lode ora a uomini di fama è un libro coinvolgente in cui parole e immagini sono accostate per formare un ritratto di una realtà avversa e difficile da sostenere. Agee chiede al lettore di percepire l’intonazione, la pulsazione e la dinamica del suo scritto, un diario-inchiesta , le cui vibrazioni poetiche si intrecciano con le inquadrature austere e intense di Walker Evans.
©CultFrame 09/2003
CREDITI
Titolo: Sia lode ora a uomini di fama / Autori: James Agee e Walker Evans / Nota: Furio Colombo / Traduzione: Luca Fontana / Editore: il Saggiatore, 2002 / 448 pagine / 62 fotografie / 50,00 euro / ISBN: 88-428-0995-0
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INDICE DEL LIBRO
Nota di Furio Colombo / Riflessione del traduttore di Luca Fontana / Premessa. James Agee nel 1936 di Walker Evans / Sia lode ora a uomini di fama