Fotografo d’eccellenza, con una spiccata e criticata personalità, Erwin Olaf è un uomo carismatico, di una libertà e un’apertura disarmanti, un individuo in grado di dare emozioni, di esprimere idee e di creare sempre nuovi mondi di fantasia.
Olaf ha avuto grandi maestri ad affinare la tecnica, e ad essere presente nelle problematiche politiche e sociali. Esponente di un movimento artistico contemporaneo all’insegna dell’immagine umoristica, della libertà di opinione e di pensiero, della contaminazione e dell’ironia, conduce un’esistenza dedicata all’arte e alla propria crescita personale.
CultFrame l’ha incontrato nel suo studio di Amsterdam.
Come è iniziato il tuo lavoro di fotografo, e come hai capito che era proprio quella la direzione che volevi seguire?
La storia dell’inizio della mia carriera è una storia breve. Ho studiato alla scuola di giornalismo, ma dopo un anno mi sono reso conto che scrivere non era la mia strada. Avevo bisogno di un’altra forma d’arte per esprimermi. Sono stato incentivato dal mio insegnante. Dal primo momento è stato come una rivelazione. E’ un mezzo geniale: si scattano le foto, e in una seconda fase si sviluppano. Per me è stato come infilare un paio di guanti che mi stavano perfetti. Ho trascorso alcuni anni in cui ho dovuto studiare molto. Poi ho conosciuto Hansel Van Manen, famoso fotografo e coreografo, che aveva un grande maestro: Robert Mapplethorpe; lui era il più grande fotografo del mondo in quel momento.
Dunque, ho iniziato con la fotografia nel 1980 ed ho incontrato Hansel Van Manem nel 1983. Era un momento di grande disoccupazione in Europa. Non c’era lavoro per giornalisti, e in Olanda c’era una buona assicurazione sociale che ti permetteva di vivere e lavorare come artista. Van Maanen mi ha insegnato molte cose che indirettamente il suo grande maestro insegnava a lui. In questo modo ho avuto la fortuna di avere un’ottima preparazione come fotografo.
Cosa è cambiato dal lavoro di ieri e quello di oggi?
Sicuramente lo sviluppo nella tecnica. Ho iniziato come giornalista attraverso la registrazione della realtà e adesso creo la realtà che voglio, quella che piace a me. Ho sempre odiato la realtà. C’è sempre qualcosa che non va… in studio sono più libero di inventare, posso creare sempre nuove atmosfere con l’utilizzo delle luci, posso cercare l’espressione degli occhi che voglio…
Qual è la sensazione che cerchi attraverso il tuo lavoro?
Non lo so con certezza. Da quando la fotografia è digitale, ma forse da sempre, ci sono due momenti importanti. In passato c’era il momento dello scatto, e dello sviluppo… ora rielabori le immagini al computer. C’è sempre il momento esatto, la sensazione che cerco. Posso spiegarlo attraverso l’esempio della fotografia in cui c’è una donna completamente nuda che sostiene un uomo sulla sua testa. Ho sentito che l’attimo era quello giusto, il secondo esatto in cui scattare. E’ molto emozionante.
Quale obiettivo vuoi raggiungere?
All’inizio ho voluto provocare una reazione attraverso la fotografia di nudo; era qualcosa che a me piaceva: farmi notare ed essere accattivante, soprattutto usando il bianco e nero. Sono stato molto aggressivo, e ho voluto essere il centro dell’universo, pensavo di essere sempre dalla parte della ragione.
Adesso desidero che lo spettatore guardi, voglio riuscire a cogliere la sua attenzione, e dialogare con il pubblico anche attraverso immagini forti. E’ come se avessi preso maggiore distanza. Non voglio stupire, voglio solo esprimere le mie emozioni: questo è il motivo per cui scatto.
La politica e la società influenzano il tuo lavoro? In quale modo?
Certo, soprattutto la lotta contro le discriminazioni. Sono solo un po’ preoccupato per l’evoluzione della società moderna. Quando ero più giovane si chiamava “Doemdenken” in olandese, un modo di pensare finalizzato alla fine del razzismo e delle discriminazioni. Adesso è diverso, e la mia reazione è quella di intrattenere attraverso la fantasia.
Nella campagna della Lavazza hai usato il concetto della donna oggetto, perché?
La donna nella campagna Lavazza è diversa; ho giocato con le donne come eroine, gli uomini sono le vittime di questo tempo. Ho voluto giocare con queste considerazioni. A volte mi è capitato di pensare alle pubblicità e vedere queste superdonne muoversi come oggetti sessuali, e invitarti ad andare a letto con loro. Magari poi pubblicizzano carta igienica! Lo trovo assurdo.
In questa parte del tuo lavoro, l’umorismo e la ricerca di un approccio estetico, la ricerca della risata rispetto alle cose della vita è predominante. E’ questo il messaggio che vuoi dare?
Certamente, non possiamo sempre essere seri, dobbiamo provare a scherzare, ad essere umoristici e caricaturali, per sentire la vita più leggera e vivibile. Spesso i fotografi contemporanei fanno immagini così vuote, concentrati sulla loro stupida vita. Io voglio che la mia committenza sia la società, che la gente che visita la mia mostra sia stimolata al dialogo con le mie opere, al dialogo con me.
Se dovessi trovare una parola chiave per le persone che si identificano nel tuo lavoro?
Ci sono diverse immagini a cui ricollego il mio lavoro. Potrei ricondurmi alla Pop-Art.
Penso anche ai movimenti anarchici degli anni settanta, o il punk. Il periodo della rivoluzione sessuale.
Adesso credo di rappresentare una combinazione tra l’estetica e l’anarchia.
Per me è importante difendere la libertà di pensiero e di parola. La libertà, questa la parola chiave, ed è comunque politica. Nello stesso tempo, però, mi piace l’estetica nelle cose, il bello, la possibilità di modificare le cose esistenti nella realtà per renderle ancora più belle.
Cosa Amsterdam significa per te?
In questo momento sono un po’ confuso rispetto a questa città dopo l’uccisione del noto regista di Amsterdam. Ho paura del futuro che verrà. Ho sempre amato e amo ancora questa città. Soprattutto l’architettura e la struttura urbanistica. E’ una città ma anche un paese. Noi non vogliamo essere razzisti. Sono un nostalgico e sto male lontano da Amsterdam. La adoro.
Posso prendere la mia bicicletta e arrivare dalla mia casa nella zona Jordaan fino al mio studio, lungo i canali adornati da bellissimi alberi, e osservo case del settecento, bellissimi palazzi.
Io sono Gay, e qui è forse l’unico luogo nel mondo in cui puoi essere innamorato e andare mano nella mano con il tuo uomo e sentirti libero, ma molte cose stanno cambiando anche in Europa e in altre città come Barcellona è possibile stare bene.
Mi piace molto il tuo lavoro “Separation”.
Con “Mature” volevo far sorridere, con “Separation” ho avuto l’idea di mettere una madre e suo figlio in una stanza vuota, le luci che separano gli ambienti, senza sapere con precisione che cosa volessi fare. Quando ho visto le foto, gli ingrandimenti prima della mostra, è stato un momento molto bello, sono andato in profondità attraverso uno dei ricordi più precoci della mia vita.
Molte persone mi hanno detto che le tue foto sono servite ad aprire un mondo, a guarire delle ferite. Anche il tuo Gallerista di Milano della “B&D”, Tomasso Bracco, ha affermato di aver passato giornate a guardare i tuoi lavoro e per molti aspetti ti deve ringraziare per i cambiamenti avvenuti in lui grazie ai tuoi studi…
Penso che questo sia il più bel complimento che potessi ricevere, io lavoro per me stesso e per comunicare quello che provo e se riesco far provare a qualcun altro quegli stessi sentimenti, allora sono un artista molto fortunato.
Cosa farai adesso? Hai dei progetti in mente?
Si, continuerò a sviluppare ancora la mia personalità e …vorrei fare un film per bambini. Per questo motivo sto anche lavorando come videoartista. La fotografia è stata per me come un diploma superiore, il cinema è invece l’università. Sono stato capace di filmare per cinque minuti, poi per venticinque… quindi la realizzazione di una storia di un’ora e mezza sarà entusiasmante.
©CultFrame 12/2004
IMMAGINI
1 Erwin Olaf. ©René Frese
2 e 3 Foto di Erwin Olaf
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