Che il passo lento dell’elefante ti porti lontano. Un libro di Giuliano Radici

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

giuliano_radici-elefanteMilioni di persone che, nell’arco di quaranta giorni, si incontrano nello stesso luogo per una festa religiosa. La confluenza di tre fiumi sacri. L’effettuazione di rituali, dispute filosofiche, celebrazioni di tutti i generi. L’allestimento di centinaia di chilometri di passerelle, sterminati impianti elettrici e lunghissime condutture per la distribuzione dell’acqua. Kumbha Mela è molto più di un appuntamento ecumenico legato al confronto e all’approfondimento mistico; è un vero e proprio vortice spirituale, un’elaborazione arcaica e travolgente della ricerca della verità. Questa festa però, vista e rappresentata da uno sguardo esterno, può perdere la propria viva consistenza e scivolare in una sorta di ricostruzione antropologica dal respiro parascientifico o, ancora peggio, nello stereotipo turistico più deteriore.

Un certo settore del fotoreportage contemporaneo, in tal senso, ha compiuto, in contesti simili, operazioni divulgative superficiali, caratterizzate da una presunta e fredda oggettività dell’immagine fotografica e da uno sterile, a livello culturale e progettuale, narcisismo autoriale. Una delle tendenze “scolastiche” meno interessanti è quella di cogliere forme estetizzanti o dettagli “anomali” per lo sguardo del cittadino ricco e occidentale. Ma esiste anche un indirizzo opposto, e corrispondente, a causa del quale si finisce per cadere in una vuota, e inutilmente rigorosa, “analisi” pseudoetnica, pratica, quest’ultima, che ha determinato evidenti manierismi e un appiattimento espressivo ormai dilagante e pericoloso, per una disciplina, come la fotografia, che sta ancora solidificando la propria posizione nel panorama delle forme artistiche moderne.


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Al di fuori di queste logiche controproducenti, si muove concettualmente Giuliano Radici, il quale da anni sta portando avanti un lavoro sull’India contraddistinto dalla volontà non di tratteggiare un mondo differente quanto, piuttosto, di comunicare con delicatezza le emozioni di cui questo mondo è portatore da millenni. L’occhio biologico/organico di Radici non agisce con sottili e ambigue motivazioni “colonialistiche”, non scruta con i metodi algidi dell’entomologo poiché è guidato da una sfera interiore pilotata da un forte senso del rispetto e da una sincera curiosità, stimolata dal desiderio di conoscenza personale. Tale meccanismo psicologico ed emozionale guida il suo sguardo, sguardo che non incombe sulla realtà, non la violenta e non la offende riproducendo un futile “bello fotografico”. L’autore cerca invece di cogliere lo spirito nascosto di certe vicende umane, di far emergere quello spettro di sensazioni che l’angosciosa esigenza di nettezza e precisione dell’Occidente, anche nella fotografia, ha cancellato, e di conseguenza dimenticato.

E’ per questo motivo che le immagini di Giuliano Radici riguardanti la festa della Kumbha Mela, folgorano il fruitore, lo sconvolgono trasportandolo in un territorio poetico negato, di fatto, dalla valanga mediatica, informativa e visiva di cui tutti siamo vittime giorno per giorno.


giuliano_radici-elefante2C’è molta scioccante ed eversiva autenticità nei “mossi” e nelle “sfocature” degli scatti del fotografo bresciano, il quale è riuscito a far coincidere la visione del dispositivo ottico alla trepidazione perturbata del suo stesso punto di vista mentale. Dunque, ciò che si evince da questo lavoro è che non sembra esservi nessuna divaricazione tra Giuliano Radici uomo e Giuliano radici fotografo. La macchina si avvicina e si allontana dai soggetti sempre con estrema discrezione e si pone spesso sullo stesso piano di chi viene ritratto. Non importa tanto il contesto quanto, piuttosto, le vicende individuali degli esseri umani che Radici sceglie di immortalare. Viene fuori, in sostanza, la tumultuosa complessità di ogni singola esistenza, in grado di essere sola nella moltitudine e contemporaneamente in comunione con gli altri nella solitudine.
Giuliano Radici non esita ad utilizzare elementi linguistici molto decisi come il controluce e alcuni vigorosi contrasti tra zone illuminate e spazi neri. Taglia le inquadrature nella consapevolezza che anche la nodosità di una mano o le pieghe di una stoffa possano raccontare il labirintico universo dei sentimenti umani.

giuliano_radici-elefante3L’immagine di un uomo avvolto in un drappo scuro, con sullo sfondo le luci della città, e quella di numerose persone che di spalle guardano la folla della Kumbha Mela solo apparentemente sembrano scontrarsi semanticamente. In verità, portano alla luce due facce della stessa medaglia e mettono in correlazione perfetta due condizioni esistenziali parallele dell’uomo: la solitudine davanti al nulla e il desiderio di esorcizzare proprio il nulla nell’incontro fisico generato dalle riunioni di massa.

In uno scatto le forme corporali di tre individui sembrano sciogliersi, decomporsi, svuotarsi di materia. Un’atmosfera fantasmatica improvvisamente avvolge il tutto. Chi sono? Cosa fanno? Chi stanno guardando? Cosa pensano in quell’istante quei tre uomini di cui nulla sappiamo? Qual è la loro storia? Non abbiamo la risposta, ovviamente, così come non intende fornirla l’autore. Ma è proprio in quest’immagine che Radici compie un autentico miracolo espressivo, oltre che stilistico, proponendo al fruitore figure umane irriconoscibili, veri e propri ologrammi impalpabili che potrebbero trovarsi in qualsiasi parte del pianeta, luogo o paese e, forse, provenire da un’altra dimensione, da un altro sistema solare. Scarnificato in maniera crudele il corpo perde la sua connotazione etnico-religiosa, la sua identità sociale, per diventare simbolo di una misteriosa inquietudine, puro eco evanescente che allude ad un’essenza indecifrabile, essenza che alberga in tutti gli animi e che ci fa comprendere come la vita sia un sogno, una vertigine visuale e sensoriale, un flusso oscuro e ingovernabile di ombre in movimento perpetuo.


©CultFrame 02/2005

 

 

IMMAGINI

1 Copertina del libro Che il passo lento dell’elefante ti porti lontano di Giuliano Radici

2, 3, 4 Immagini realizzate da Giuliano Radici tratte dal libro Che il passo lento dell’elefante ti porti lontano

 

CREDITI

Titolo: Che il passo lento dell’elefante ti porti lontano / Autore: Giuliano Radici / Design: Giuliano Radici e Primadv / Introduzione: Maurizio G. De Bonis / Editore: Ragiuart Edizioni 2005 / 70,00 euro / ISBN: 88-900987-1-6

 

LINK

CULTFRAME. Pakistan. Immagini di terre e segni pakistani, immagini di uomini pakistani. Un libro di Giuliano Radici

CULTFRAME. Simple_Objects. Un libro di Giuliano Radici e Fabio Racheli

CULTFRAME. Emozioni e poesia nelle fotografie di Giuliano Radici in due libri

CULTFRAME. Antonella Monzoni. Kumbha Mela. Il viaggio e l’anima

Il sito di Giuliano Radici

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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