Parlare oggi di fotografia israeliana contemporanea potrebbe sembrare una normale indagine critica. Se si tenta, però, di ripercorrere la storia della fotografia di questo minuscolo paese ci si può accorgere di un dato significativo: l’evoluzione di questo mezzo espressivo ha subito inizialmente, in Israele, ritardi notevoli, mentre negli ultimi trent’anni si è verificata un’evidente accelerazione del suo cammino, accelerazione che ha consentito il suo inserimento effettivo nell’ambito della fotografia contemporanea internazionale.
Mentre i fotografi occidentali già all’inizio del XX secolo si cimentavano con i nuovi linguaggi creativi, in Israele la fotografia, nelle sue varie articolazioni estetiche e stilistiche, non aveva fatto ancora il suo ingresso. L’isolamento geografico teneva i fotografi lontani dai movimenti artistici, mentre gli eventi che si susseguivano, come le immigrazioni, i conflitti, l’edificazione del paese richiedevano una continua documentazione. Tuttavia, l’avvento del Nazismo spinse molti ebrei verso la Palestina, e tra questi nuovi talenti portatori delle ultime innovazioni stilistiche e tecnologiche.
La fondazione dello Stato nel 1948 è stata senz’altro una tappa fondamentale. Questo evento storico ha dato al paese un’identità propria e ha unito individui provenienti da realtà disparate intorno ad una cultura nascente. La fotografia, ovviamente, rifletteva questa situazione e allo stesso tempo diventava un mezzo per rafforzarla. Il contesto politico era in continua trasformazione; le conseguenze delle Guerre dei Sei Giorni (1967) e del Kippur (1973), inoltre, diedero forti scossoni alla società israeliana. Questioni profonde come l’identità, l’Altro, il territorio, le radici trovarono una loro collocazione in un panorama espressivo che andava inevitabilmente mutando. Le nuove generazioni di fotografi cercarono di distaccarsi dalle vecchie forme e si collegarono a quelle moderne situate oltremare.
Una visione ampia, riguardo la creatività legata a questa forma d’arte, dà oggi l’idea di una forte vivacità e complessità. Gli autori contemporanei, oltre ad esplorare le potenzialità del mezzo e ad esaminare l’essenza dell’immagine, tendono a concentrarsi su temi inerenti a questioni locali e non più propriamente ebraiche; mettono in discussione miti e stereotipi, frantumano tabù, esprimono desiderio di normalità, di fuga, oppure manifestano la sofferenza di chi è destinato a confrontarsi con una situazione conflittuale travagliata.
Negli ultimi decenni, un numero notevole di fotografi è emerso trovando l’appoggio di gallerie, musei e curatori. Le loro opere sono, così, entrate a far parte di collezioni pubbliche e private internazionali. Alla Biennale di Venezia del 1997 è stato presente Yossi Breger. Nel 1999, il Padiglione d’Israele è stato affidato al fotografo Simcha Shirman, mentre quello del 2003 alla fotografa e video artista Michal Rovner. Nel 1977, il Museo d’Israele di Gerusalemme ha aperto il Dipartimento di Fotografia e il Museo d’Arte di Tel Aviv ha fatto altrettanto per iniziativa di Micha Bar-Am.
Proprio quest’ultimo è stato autore di importanti reportage, testimone della storia del Paese e di eventi bellici, costruttore di scatti dal carattere realistico, ma anche dall’impostazione formale ineccepibile. Membro della Magnum, Bar-Am è artefice di una fotografia che trova nell’uso del bianco e nero un elemento cardine e nella sua abilità di calarsi nella realtà lo strumento ideale per diventare un vero e proprio narratore.
Più portato verso una dimensione metaforica dell’uso dell’immagine è Simcha Shirman. La sua cifra poetica è sospesa. Centro della sua creatività è la sua stessa immagine, il suo corpo spesso usato come elemento narrativo, ma anche l’indefinibile concetto di tempo, il rapporto tra le azioni umane e il paesaggio e la raffigurazione della sua sfera interiore attraverso la rappresentazione della famiglia e della propria intimità. Le immagini di Shirman sono filosoficamente pure, semplici, dirette.
La figura umana è anche al centro dell’universo espressivo di Elinor Carucci, Michal Chelbin e Adi Nes. La prima imposta le sue opere attraverso un’operazione di selezione molto netta, immortalando sezioni di corpi e dettagli: occhi, labbra, pieghe della pelle, schiene. Attraverso questo raffinato gioco di scomposizione, la fotografa analizza sentimenti, impulsi amorosi, tensioni erotiche, evitando di cadere in formalismi glamour.
Michal Chelbin cala il proprio sguardo in un mondo fantastico e infantile, ondeggiando tra il realismo magico e la descrizione immaginifica di una società parallela, nella quale la vita di freaks, simili ai personaggi cari a Tod Browning, si manifesta in una normalità compassata ed elegante. La psicologia dell’infanzia è evocata da Chelbin con tono visionario e spirito favolistico, non senza inquietudini contenutistiche.
Adi Nes procede attraverso una potente stilizzazione estetizzante. I suoi lavori sono popolati da militari e giovani che negano di fatto lo stereotipo del soldato macho ed evidenziano una nascosta e sensuale delicatezza dei gesti e degli atteggiamenti. Tra corpi adagiati su materassi e volti dormienti, Nes ricompone un mondo irreale nel quale la violenza sembra essere stata esorcizzata dalla carica eversiva della bellezza.
Leora Laor situa la propria cifra espressiva in un territorio di tipo oggettivo nel quale la figura umana è isolata in situazioni quotidiane leggere e gioiose. L’infanzia sembra essere la sua principale fonte di ispirazione. Quando gli esseri umani entrano in relazione con un paesaggio non urbano ecco però che le immagini si fanno più rarefatte grazie all’uso non convenzionale della luce e del colore.
Il paesaggio non urbano è fattore di ispirazione per autori come Ori Gersht e Ohad Matalon. Mentre il primo utilizza simboli mediorientali, come gli ulivi, e li trasfigura in processo di manipolazione che sfuma i contorni degli oggetti, il secondo dispone il proprio obiettivo nello spazio cercando di esasperare il visibile, cogliendo frammenti di vita nonché riflessioni esistenziali poste nella dimensione sia della natura che della città.
Gli sguardi di Yossi Breger e Gilad Ophir sono concentrati nel compimento di un’operazione razionale e indagatrice riguardo l’ambito cittadino e i luoghi che il capitalismo consumista ha strappato agli equilibri della natura. Breger inquadra palazzi anonimi di Tel Aviv, si sofferma su incroci stradali, angoli dove un’urbanizzazione scomposta si coniuga con spazi vuoti occupati da autovetture e improvvise aperture verdi. Ophir posa i suoi occhi sui segni del passaggio dell’uomo in territori ancora apparentemente vergini. Case in costruzione in zone desertiche mostrano l’azione invasiva degli uomini mentre la fantasmagorica rappresentazione di centri commerciali dimostra la devastante opera della società che ricostruisce un panorama artificiale, sostituendosi all’azione armoniosa della natura. Con le opere di Roi Kuper si ritorna invece ad una concezione pittorico-filosofica dello spazio visibile. Le sue serie ci restituiscono una natura nella quale non è percepibile l’azione dirompente dell’uomo. Terreni aridi e piatti, una campagna non curata, un tratto di spiaggia. Queste opere nascono dalla ricerca di un’armonia quasi perduta, armonia che nonostante la mostruosa distruzione messa in atto dall’uomo, in qualche caso, ancora resiste.
© Orith Youdovich / Tratto dal libro “Fotografia Israeliana Contemporanea”
IMMAGINI
1 Copertina del libro Fotografia Israeliana Contemporanea
2 Simcha Shirman. Israeli Landscape, 2004. Courtesy Gordon Gallery, Tel Aviv
3 Ohad Matalon. Rosh haayin\Head of the eye, 2000. ©Ohad Matalon. Dvir Gallery, Tel Aviv
4 Elinor Carucci. Mother and I, 2000. Courtesy Noga Gallery of Contemporary Art, Tel Aviv
5 Michal Chelbin. Xenia on the Playground, 2003. ©Michal Chelbin – Dvir Gallery, Tel Aviv
6 Adi Nes. Untitled, 2000. From the Boys series. ©Adi Nes. Dvir Gallery, Tel Aviv
CREDITI
Titolo: Fotografia Israeliana / A cura di Orith Youdovich / Testi: AA.VV. / Editore: FPM Edizioni, Roma, 2005 / 120 pagine / 40 fotografie / 60,00 euro / ISBN: 88-88046-34-8
SUL WEB – CULTFRAME
CULTFRAME. Atto di Stato. Palestina-Israele, 1967-2007 – Storia fotografica dell’occupazione. Un libro di Ariella Azoulay
CULTFRAME. L’immagine della memoria. La Shoah tra cinema e fotografia. Un libro di Maurizio G. De Bonis
CULTFRAME. Pavel Wolberg. Monografia
CULTFRAME. Diari interiori di un osservatore anonimo. Il cinema di David Perlov