Tre stampe sbiadite e antiche, tre immagini che sembrano riportare alla luce impressioni fantasmatiche, echi dell’aldilà. Il medesimo soggetto è prima ripreso lungo una ringhiera. Ha una giacca scura e i pantaloni chiari. Il braccio sinistro disteso versa una balaustra. Poi un’altra visione: le braccia conserte, un abito bianco, un albero che incombe sulla testa. Infine, un sogno, un flusso concettuale bloccato che evoca la vita di un individuo il cui corpo è ridotto ad apparizione onirica, a puro ed evanescente alito concettuale.
Le tre immagini appena descritte sono di straordinaria importanza oltre che autentiche rarità. Si tratta di autoritratti fotografici che il poeta Arthur Rimbaud effettuò nel 1883 durante un suo viaggio a Aden. Di quella “spedizione” rimangono altre due prove fotografiche: una più confusa (un soggetto immerso nella vegetazione), un’altra straordinaria. Quest’ultima è il ritratto ambientato di un indigeno seduto per terra che guarda verso un altrove che forse non corrisponde a un punto fisico ma ad un abisso della mente.
Queste fotografie rappresentano, insieme al capitolo che le ospita, alcuni degli elementi più significativi del libro di Giuseppe Marcenaro intitolato Fotografia come letteratura.
Si tratta di un lavoro singolare che cerca di affrontare in maniera articolata i rapporti tra fotografia e mondo letterario, con particolare riferimento alle incursioni che scrittori e poeti fecero nell’arte che era nata solo qualche anno prima.
Il legame tra parola e immagine, tra visione e testo scritto è stato sempre difficile e contraddittorio, ed ha sempre visto la fotografia dover inseguire la letteratura, in una sorta di gioco delle gerarchie interne al mondo delle arti.
Il libro fa emergere questo complesso rapporto, evidenziando soprattutto la mancanza di organicità del rapporto stesso. Così, anche il volume in questione sembra una sorta di percorso disorganico, senza una direzione precisa, che però fa inoltrare la mente del lettore in un universo di riflessioni molto approfondito.
Tra i passaggi più stimolanti vi sono quelli in cui si affronta il problematico rapporto che Baudelaire ebbe con la “nuova tecnica” di riproduzione della realtà. Scrive il poeta francese (in relazione alla fotografia): “Ma se le è concesso di sconfinare nella sfera dell’impalpabile e dell’immaginario, in tutto quello che vale soltanto perché l’uomo vi infonde qualcosa della propria anima, allora siamo perduti…”. Come sottolinea Marcenaro, però, Baudelaire non detestava la fotografia in sé ma stigmatizzava con forza il suo tentativo di mercificazione e il pericolo che tale forma espressiva fosse utilizzata per alimentare le certezze dei benpensanti e del ceto dominante.
Da Gustave Flaubert a Henry James, passando per Nadar e Julia Margaret Cameron, fino a Emile Zola, l’autore del libro dunque esplora un universo che appare criticamente quasi imprendibile, impossibile da contestualizzare in maniera razionale. Ma ciò che emerge dalla lettura dei saggi che compongono il volume è l’oggettiva (per il XIX secolo) forza “destabilizzante” dell’arte fotografica che per certi versi si è trovata da sempre a dover duellare con la parola scritta, in una sorta di scontro sulla rappresentazione della realtà, ammesso che sia la parola che l’immagine abbiano a che fare veramente con quella che noi consideriamo realtà.
©CultFrame 05/2006
CREDITI
Fotografia come letteratura / Autore: Giuseppe Marcenaro / Editore: Bruno Mondadori, 2004 / 183 pagine / 20,00 euro / ISBN: 88-424-9380-5
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INDICE DEL LIBRO
Chambre oscure & chambre claire o del valore prospettico / Il lustrascarpe di Daguerre / L’Egitto di Flaubert e Du Camp. Baudelaire “contro” Nadar / L’Album dei Mille del fotografo Alessandro Pavia / I settecento volti di Alice / Rimbaud: autoritratti all’albumina come autobiografia / Gli angeli di Julia Cameron / Henry James o del combattimento per un’immagine / Il naturalismo di Zola / Benjamin: la vita per un dagherrotipo / Experimentalia. Omaggio a Roland Barthes / Bibliografia / Fonti delle traduzioni / Indice dei nomi