Mission Impossible III è un film emblematico e per certi versi inquietante. E’ emblematico perché evidenzia tutte le capacità produttive del sistema hollywoodiano, le professionalità, e l’abilità dell’industria americana nel costruire prodotti commerciali/industriali destinati all’intrattenimento. E’ inquietante, perché incarna pienamente lo spirito arrogante e colonialista del cinema delle majors. Andiamo ad argomentare.
La vicenda di Mission Impossible III si snoda attraverso una storia che tocca diverse città, tra cui Roma e Shanghai. Si tratta, naturalmente, di set preesistenti di enorme spessore visivo e culturale, ai quali un regista e, ancora di più, una macchina organizzativa come quella hollywoodiana avrebbero dovuto accostarsi con rispetto non solo nei confronti dell’elaborazione della finzione filmica ma anche delle città stesse, della loro storia e della cultura di cui sono simboli.
Questo rispetto non c’è anche se l’atteggiamento nei confronti delle due metropoli è comunque diverso. Cerchiamo di capire il perché.
Nella mani e nello sguardo di J.J. Abrams, Roma è diventata una città che non esiste: un luogo dai colori lividi, ridotto esclusivamente al suo fiume (il Tevere), a un tratto delle mura vaticane (ma potrebbero essere quelle gianicolensi) e alla cupola della Basilica di San Pietro. L’architettura visuale della città è stata stravolta, umiliata, reinventata in modo brutale e volgare. Città del Vaticano ha preso le sembianze della Reggia di Caserta in una sorta di sovrapposizione totalmente funzionale solo ed esclusivamente allo spettacolo. All’interno di questa inverosimile Città del Vaticano si svolgono inoltre ricevimenti con ospiti assurdi che arrivano dentro Lamborghini gialle guidate da modelle “super-bone” e “super-erotiche” con tacchi a spillo vertiginosi, vestiti rossi con spacchi pazzeschi e aperture posteriori che lasciano intravede la sinuosità delle natiche. Sorvoliamo sul fatto che nella micro-città papalina si svolgano delle vicende al limite della demenzialità e concentriamoci sulla questione prettamente filmica.
Se il cinema è finzione, il racconto, a meno che non si faccia del surrealismo, non solo dovrebbe comunque svilupparsi secondo coordinate di verosimiglianza ma dovrebbe in primo luogo avere rispetto dei luoghi in cui sono ambientate le storie. Far passare la Reggia di Caserta per la Basilica di San Pietro è un’operazione che nulla a che fare con la finzione cinematografica e che evidenzia una mentalità superficiale e culturalmente arrogante. Si tratta di una “violenza” alla storia dei monumenti e alla cultura del paese che li ospita, e null’altro. Pare che J.J. Abrams abbia dichiarato che la decisione di ambientare un brano del film a Roma sia stata presa perché si trattava di una delle città preferite da lui e dalla moglie. Dunque, la sua non è stata una scelta ragionata e calibrata alla struttura del film ma semplicemente una decisione turistico-colonialista. Ci piace Roma? Bene, giriamo lì, anche se poi trasformiamo la capitale italiana in una specie di orrendo mutante.
Questo atteggiamento muta invece per ciò che riguarda Shanghai. La Cina è una vera potenza (economica) e così appare doveroso magnificare la sua attuale dimensione. Ed allora ecco un’esaltazione spudorata nei confronti della iper-modernità architettonica, accostata amorevolmente alla realtà ancora umana dei quartieri di vecchia foggia. Ma che bel quadretto. Sarà poi così veramente Shanghai. Noi non ci siamo mai stati, ma visto ciò che è stato fatto a Roma, permetteteci di nutrire qualche dubbio.
Detto ciò, non rimane che occuparci del film in sé. Si tratta di un’operazione di rara bruttezza e approssimazione. Tutto è affidato alle sequenze di azione. Dire che sono fatte bene è quanto di più scontato si possa fare. Negli USA ci sono decine di registi in grado di girare come J.J. Abrams, forse anche meglio, molto meglio. Ma il problema più grave è l’impianto narrativo: vacuo, senza una linea (se non quella banalissima dell’eroe che deve salvare la sua bella), povero di trovate e di idee. Tom Cruise sembra guidato con il telecomando e fornisce una prestazione di rara mediocrità, a differenza di Philip Seymour Hoffman, interprete di notevole spessore in grado di fare cose buone anche in un simile disastro di film.
Anche se a livello critico non rappresenta una pratica corretta, non possiamo che tornare con la mente al bellissimo, strepitoso, primo episodio della saga di Mission Impossible diretto da un Brian De Palma in forma smagliante. Un abisso, ovviamente, separa i due lungometraggi, così come una differenza evidente esiste tra il lavoro di Abrams e quello di John Woo (il secondo episodio) che non sarà un capolavoro ma almeno è basato su uno stile personale.
J.J. Abrams, dunque, non è riuscito nemmeno a caratterizzare la sua operazione attraverso scelte di regia e di montaggio a lui riconducibili. Fare tv (Lost) non è esattamente come girare un film (noi lo sosteniamo da molto tempo). Semmai l’operazione interessante sarebbe far convivere nello stesso oggetto artistico linguaggi contigui (ma questa è un’operazione troppo intellettualistica e di ricerca per Hollywood).
La domanda che sorge spontanea alla conclusione di questa riflessione è la seguente: se Hollywood ha deciso di affidarsi a registi che lavorano prevalentemente per la tv, che sarà dell’immaginario filmico, del suo linguaggio specifico, del racconto ideato per il grande schermo? La nostra sensazione è che ormai a Hollywood abbiano deciso che tv e cinema sono la stessa cosa… purtroppo.
©CultFrame 05/2006
TRAMA
L’agente Ethan Hunt ha deciso di ritirarsi dalle operazioni in territorio ostile e di dedicarsi alla formazione dei nuovi agenti segreti della I.M.F., gruppo dell’intelligence americana specializzato in azioni segretissime. L’agente intende stabilizzare la sua esistenza e sposarsi con la sua dolce fidanzata. Una sera però, durante una festa, riceve una telefonata che lo richiama in servizio attivo. Si tratta di recuperare un letale ordigno caduto nella mani di un pericolosissimo criminale. Hunt non potrà rifiutare e partirà per quella che forse sarà la sua ultima e definitiva azione operativa (ed anche la più spettacolare), tra Washignton D.C., Berlino, Roma e Shanghai.
CREDITI
Titolo: Mission Impossible III / Regia: J.J. Abrams / Sceneggiatura: Alex Kurtzman, Roberto Orci / Fotografia: Daniel Mindel / Montaggio: Mary Jo Markey, Maryann Brandon / Scenografia: Scott Chambliss / Musiche: Michael Giacchino / Interpreti: Tom Cruise, Michelle Monaghan, Ving Rhames, Philip Seymour Hoffman / Produzione: Cruise-Wagner Productions, Paramount Pictures / Distribuzione: UIP / Paese: USA, 2006 / Durata: 125 minuti
LINK
CULTFRAME. Startrek. Un film di J.J. Abrams
Sito ufficiale del film Mission Impossible III di J.J.Abrams