La 52 Esposizione Internazionale d’Arte nell’ambito della Biennale di Venezia si annunciava interessante, visto che il direttore, l’americano Robert Storr vi lavorava praticamente già prima che si svolgesse l’edizione del 2005. Le aspettative erano molte e come sempre capita in occasione di manifestazioni così attese dopo l’inaugurazione per gli addetti ai lavori le critiche non sono mancate, così come gli elogi. Per quel che ci riguarda abbiamo trovato la mostra cardine denominata Pensa con i sensi, senti con la mente. L’arte al presente (mostra che si snoda tra l’Arsenale e il Padiglione Italia dei Giardini) meno convulsa e ridondante delle passate edizioni, dunque più agevole per il visitatore, ma forse meno coinvolgente.
Ma a parte questa valutazione, che può anche essere determinata da questioni soggettive, vogliamo soffermarci in questo articolo sui contributi video che a nostro avviso caratterizzano l’esposizione in questione.
Non vi è alcun dubbio sul fatto che l’opera in video più sconvolgente e alta della selezione sia quella intitolata Pas pu saisir la mort (2007). L’autrice è straordinaria artista francese che è presente anche nel Padiglione Francese ai Giardini.
Il video è stilisticamente e linguisticamente connesso a discipline non dinamiche come la fotografia e la pittura. L’inquadratura è sempre fissa, mentre la composizione dell’immagine e gli aspetti fotografici e cromatici sono curati fin nei minimi dettagli. Ma andiamo al contenuto. In sostanza, Sophie Calle inquadra sul letto di morte la madre, la cui malattia si è aggravata proprio nel periodo nel quale l’artista parigina aveva ricevuto l’invito a partecipare alla 52. Biennale d’Arte. E’ un video apparentemente freddo, gelido, poiché testimonia attraverso un linguaggio impassibile la fine di una vita, per di più quella della madre dell’autrice. In verità, la sensazione che lascia l’opera è di assoluta naturalezza e tranquillità. L’emozione è solida ma mediata attraverso uno sguardo puro e coraggiosamente razionale, conscio del passaggio inevitabile e naturale della morte. Per lungo tempo il video, nella sua totale immobilità, allude a una composizione pittorico-fotografica; solo in un secondo passaggio l’ingresso in campo di individui che cercano di constatare se sia avvenuto il decesso mostra l’ingresso improvviso della vita. Ed è proprio questa la lezione che sembra impartirci Sophie Calle, la quale con estremo equilibrio dimostra come vita e morte non siano poi così distanti, visto che l’assenza di movimenti impedisce di identificarle attraverso la semplice percezione dello sguardo. Allo stesso tempo ci accorgiamo come tra elementi vitali (i movimenti dei soggetti vivi) e la morte (il corpo inerte della madre di Sophie Calle) non vi sia alcun rapporto, se non quello che noi vivi elaboriamo in modo sovrastrutturale. La rappresentazione del distacco e della perdita di un affetto così grande è dunque organizzata non con distacco estetico ma con compostezza espressiva, fattore che porta la dimensione dei sentimenti e del dolore in una sorta di realtà dell’accettazione dell’idea profonda del trapasso dei cari e che intende esorcizzare la concezione della morte che abbiamo in occidente, intesa come avvenimento tragicamente insopportabile e doloroso, esclusivamente per chi rimane in vita.
Se dovessimo effettuare un percorso in grado di evidenziare una scala di valori (assolutamente soggettiva) non possiamo che citare dopo Sophie Calle i due rappresentanti della Cina Popolare: Yang Fudong e Yang Zhenzhong. Il primo, con il film Seven Intellectuals in Bamboo Forest (2007) utilizza a pieno il linguaggio cinematografico per ricostruire un mondo silenzioso ed enigmatico nel quale si narra la storia di sette intellettuali cinesi, i quali cercano di cambiare esistenza e identità. Il secondo invece, con I will die (2002), ha presentato un’opera in video che si situa in una concezione espressiva in cui l’uso della videocamera, a volte non evidente per i soggetti ripresi, determina un’improvvisa irruzione della verità in un’esistenza non decifrabile.
Seven Intellectuals in Bamboo Forest è un film diviso in cinque parti in cui domina un senso di potente straniamento. Immagini in bianco e nero, azione lenta e misteriosa, carrellate indolenti e morbide. I protagonisti del film sembrano muoversi in una dimensione di ricerca più mentale che fisica. I will die è invece una vera video-installazione su due grandi pareti opposte, su ognuna delle quali sono proiettati cinque video sui quali, di volta in volta, appaiono visi di individui che pronunciano nella loro lingua la frase “io morirò”. Se l’inquadratura in sé finisce per esprimere la visione parziale, quindi non del tutto reale, dell’artista ciò che viene pronunciato dai soggetti interpellati è invece una verità inoppugnabile. In questo contrasto è situato il cuore espressivo dell’opera che spiazza il visitatore inducendolo però a riflettere pesantemente sul senso della vita.
Un’altra coppia di orientali è quella formata dai giapponesi Tabaimo e Hiroharu Mori. Mentre la prima, con Dolefullhouse (2007) usufruendo di tecniche di animazione seziona, attraverso un gioco visuale, lo spazio della vita di tutti giorni, la casa, il secondo propone un video (A Camouflaged Question in the Air, 2003) in cui dei soggetti ripresi in un parco pubblico tengono un grosso pallone che riporta sulla sua superficie un gigantesco punto interrogativo, un modo questo per rappresentare neanche tanto simbolicamente i dubbi esistenziali degli esseri umani.
Un discorso sulla percezione, anche se in maniere diverse, è affrontato da Sophie Whettnall e Oscar Muñoz. L’artista belga presenta Shadow boxing (2004), un film in 16mm riversato su dvd nel quale una figura femminile è sfiorata in continuazione dai pugni di un pugile. Attraverso il montaggio, Whettnall improvvisamente ci mostra gli impercettibili movimenti degli occhi determinati dal pericoloso avvicinamento dei pugni. Oscar Muñoz lavora invece su un piano più concettuale, in un video (Proyecto para un Memorial, 2003–2005) composto da un’installazione di cinque diversi schermi sui quali è visibile una mano che impugna un pennello intinto nell’acqua. Il pennello traccia dei volti, i quali con il passare del tempo scompaiono poiché l’acqua evapora. Riflessione profonda sul senso della percezione dello sguardo e sulla vacuità sostanziale di tale percezione, quella di Muñoz ci è sembrata una delle prove più interessanti della mostra dell’Arsenale, il tentativo di spostare l’attenzione del fruitore non tanto sull’esaltazione retorica dell’opera finita quanto piuttosto sulla bellezza del gesto creativo, bello in quanto destinato alla sparizione un attimo dopo il suo svolgimento.
Infine, una citazione per il video di un artista italiano: Paolo Canevari. Attivo da diversi anni, Canevari sta vivendo un periodo di grande attività. Roma gli ha dato uno spazio al MACRO mentre la Biennale ospita il video Bounching skull (2007), girato nell’ex quartier generale dell’esercito serbo a Belgrado bombardato dalla Nato nel 1995. L’inquadratura angolata dal basso verso l’alto presenta sullo sfondo un palazzo cadente e in primo piano un bambino che effettua dei palleggi con un teschio. La lettura del video è chiara; l’idea, però, seppur forte è a nostro avviso non del tutto originale.
©CultFrame 06/2007
IMMAGINI
1 Yang Fudong. Seven Intellectuals in Bamboo Forest, Part 1, 2003. Pellicola da 35mm, b/n 29′. Courtesy of the author
2 Sophie Whettnall. Shadow Boxing. Proiezione video, 3′. 16mm on dvd, 2004. Courtesy of the artist
3 Oscar Munoz. Proyecto para un Memorial, 2003-2005. Video proiezione a 5 canali. 7′ a ripetizione senza suono. 200cm.x250cm. Courtesy Galería Alcuadrado, Bogotá, Colombia
INFORMAZIONI
Dal 10 giugno al 21 novembre 2007
Arsenale e Giardini Biennale / Telefono: 0415218828
Orario: tutti i giorni 10.00 – 18.00
Biglietto: Intero €15 / Ridotto €12
Cura: Robert Storr
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