Il pittore di battaglie. Un libro di Arturo Pérez-Reverte

SCRITTO DA
Elisa Paltrinieri

arturo_perez-reverte-pittore_di_battaglieQuando ci soffermiamo a osservare foto di reportage di guerra quante volte – dopo un primo moto di pietà o di rabbia o di commozione – ci siamo chiesti sinceramente cosa sia successo in seguito ai soggetti delle immagini? E, soprattutto, che influenza abbia avuto lo scatto di una certa fotografia sulla vita del soggetto ripreso in contesti tanto drammatici? Forse meno del necessario, tant’è che appaiono ancora rari nel panorama letterario libri come La bambina nella fotografia (Codice Edizioni, 2004). In quel testo la giornalista e scrittrice Denise Chong ha ricostruito la difficile storia personale di Kim Phuc (la bambina immortalata da Nick Ut in Vietnam, mentre correva piangendo dopo essere stata bruciata dal napalm), la quale ha faticato per ricostruire la propria vita di contadina sudvietnamita, anche perchè la citata fotografia è stata “una presenza dominante e regolatrice della sua vita”. Quest’anno, invece, è uscito per la Marco Troppa Editore un romanzo che affronta sempre il tema del rapporto fra fotoreporter e soggetto ripreso, vale a dire Il pittore di battaglie di Pérez-Reverte.


Arturo Pérez-Reverte (nato a Cartagena nel 1951) è un celebre scrittore spagnolo che – dopo aver lavorato per vent’anni come inviato di guerra per giornali, radio e televisione – ha preferito abbandonare quella professione per dedicarsi esclusivamente alla letteratura. Ha ottenuto un successo internazionale scrivendo romanzi tra il genere storico e il thriller, come la saga del Capitano Alatriste o Il Club Dumas (da cui è stato tratto il film La nona porta di Roman Polanski); tuttavia, in diverse occasioni è tornato ad affrontare il tema della guerra. Lo aveva già fatto nel libro intitolato Territorio Comanche (in cui raccontava il conflitto in ex Jugoslavia), ma è con Il pittore di battaglie che è riuscito a esporre in modo esaustivo e dolente – attraverso la vicenda dei due protagonisti – tutti i pensieri e le considerazioni che probabilmente ha maturato egli stesso. Infatti, nel romanzo Réverte racconta di Andrés Falques il quale, dopo trent’anni, ha lasciato la professione di fotoreporter per ritirarsi a vivere nella cala di Arraez in un’antica torre di vedetta abbandonata. Lì, sull’ampia parete circolare del piano terra, sta dipingendo un murale che rappresenta la battaglia delle battaglie, vale a dire una summa ideale di tutte le battaglie possibili, in modo da rivelare il codice segreto che si cela dietro ogni guerra e che « […] restituiva la vita a quello che era realmente: un incerto viaggio verso la morte e il nulla». Finché, un giorno, si presenta al suo cospetto inaspettatamente un certo Ivo Markovic.


Markovic è un ex soldato croato che Falques aveva ripreso anni addietro a Vukovar, mentre combatteva contro i serbi. Quell’immagine aveva significato, per il fotografo, la fama e il riconoscimento del prestigioso premio Europa Focus; per Markovic, la dissoluzione definitiva della sua vita. Perciò, l’ex soldato lo vuole uccidere per vendicarsi di lui ma, prima, vuole chiarire alcune cose. Da quel momento il romanzo, grazie al drammatico e intenso faccia a faccia fra i due personaggi, mette in luce varie riflessioni sul senso del fotoreportage e le ambiguità di un simile lavoro; tali questioni, però, vengono presentate non tramite il lucido distacco della critica, ma attraverso il filtro delle emozioni umane. Markovic pone a Falques interrogativi complessi: gli chiede a cosa pensava mentre scattava la foto, se al soggetto o piuttosto alla messa a fuoco, alla luce e a tutto il resto; gli domanda se, dopo aver scattato l’immagine, si fosse completamente dimenticato del destino del suo soggetto; lo accusa di non essere capace di amare, perché inquadrare significa “ […] scegliere ed escludere. Salvare alcune cose e condannarne altre… Non tutti sono in grado di ergersi a giudice di quanto succede intorno”.


Tuttavia, di fronte a tali interrogativi Falques mostra una reazione inaspettata. Anziché difendersi, subisce le accuse, ascolta, soffre. Pensa a quanto stoni la definizione di artistico per il suo lavoro e si domanda come si possa definire bella la gente in punto di morte. Non condivide l’abuso di immagini di orrore, perchè fa sì che vengano consumate sempre più velocemente e che diventino vacue e prive di senso. E, infine, detesta il fatto che le foto abbiano « […] smesso di essere una testimonianza per diventare parte della scenografia che ci circonda»; infatti, ognuno può scegliere comodamente il frammento di orrore con cui decorare di commozione la propria vita per liberarsi dalle responsabilità e dai rimorsi. Proprio questa reazione rassegnata di Andrés Falques rende evidente il senso del romanzo tramite cui Pérez-Reverte non intende proporre facili risposte consolatorie ma, anzi, porre dubbi che lascia volutamente irrisolti. Perchè si capisce che, in fondo, fotoreporter e soggetto ripreso sono entrambi personaggi perdenti e rassegnati che hanno bisogno, disperatamente, di risposte che nessuno può dare loro. Entrambi, anche se per motivi diversi, sono stati segnati definitivamente dalla guerra perché come ricorda la quarta di copertina citando la frase più emblematica del libro: «Ci sono luoghi dai quali non si torna».

©CultFrame 11/2007

 

 

CREDITI

Il pittore di battaglie / Autore: Arturo Pérez-Reverte / Editore: Marco Tropea, 2007 / Collana: I narratori / 284 pagine / Pagine:284 / 15,00 euro / Traduzione: Roberta Bovaia

 

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Marco Tropea Editore

 

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