Meduse ⋅ Un film di Etgar Keret e Shira Geffen

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
Frame del film "Meduse" di Etgar Keret e Shira Geffen

Da diversi anni che il cinema israeliano sta crescendo in maniera esponenziale. A parte i casi di registi già molto noti all’estero come Eytan Fox e Amos Gitai, succede che da qualche tempo ogni partecipazione ai grandi festival internazionali porti dei premi, per certi versi non prevedibili. E’ successo a Cannes (Or di Keren Yedaya – premio Camera d’or, Free Zone di Amos Gitai – Premio ad Hannah Laszlo per la migliore interpretazione femminile), a Venezia (Ve’Lakakhta Lehah Ishah di Ronit e Shlomi Elkabetz – Miglior film della Settimana Internazionale della Critica) a Berlino (Beaufort di Joseph Cedar – Premio per la miglior regia). Ora è capitato di nuovo con Meduse (Meduzot) di Etgar Keret e Shira Geffen, film che all’edizione 2007 del Festival di Cannes si è aggiudicato il premio Camara d’Or per la migliore opera prima presente nell’intero cartellone della manifestazione.

Ebbene, il premio a Meduse ha rinsaldato in noi la stima e la considerazione che nutriamo nei confronti di Etgar Keret, a nostro avviso uno dei maggiori scrittori israeliani in attività. Non tutti sanno che la formazione culturale dello scrittore è in verità fortemente cinematografica e che Keret aveva già firmato un cortometraggio nel 1996. I suoi libri hanno rappresentato il trampolino di lancio per un autore dal talento cristallino, dallo stile moderno, attento però alla lezione di talune avanguardie del Novecento. I suoi racconti sono caratterizzati da uno spirito autenticamente surrealista che costringe il lettore a districarsi tra incongruenze semantiche, narrazione acronologica, virate improvvise verso l’assurdo, colpi di genio legati all’emersione di un’ironia amara e, per certi versi, tragica. Il tutto però è sempre agganciato ad un’acuta riflessione sulla vita quotidiana e sull’angoscia che ogni persona è costretta a superare costantemente. Ebbene, Etgar Keret, insieme alla sua compagna Shira Geffen, ha trasportato perfettamente il suo universo poetico in Meduse, film raffinato, curioso, un po’ folle, a tratti delirante.

Frame del film "Meduse" di Etgar Keret e Shira Geffen

Protagoniste sono delle donne che vivono una condizione di potente straniamento: una cameriera di banchetti di matrimonio, una neo-sposa costretta a rinunciare al viaggio di nozze, una badante filippina. Intorno a queste figure principali ne ruotano delle altre: una fotografa triste, una bambina misteriosa che compare dal nulla, un’attrice che destata la madre, una poetessa che decide di suicidarsi. Tutto si svolge in una Tel Aviv anonima nella quale i personaggi si muovono in una sorta di spaesamento perenne, percorrendo il confine tra depressione e sogno in un costante slittamento del senso. Le protagoniste lentamente entrano in una sorta di abisso in cui il significato della vita sembra bloccato all’interno di un incubo a occhi aperti e portano avanti le loro esistenze in luoghi indefinibili come la spiaggia, un Hotel cupo e gigantesco, un ospedale, case prive di identità.

Etgar Keret e Shira Geffen hanno fatto tesoro della lezione surrealista e in primo luogo della poetica di Luis Buñuel, alla quale attingono a piene mani. Ma molti altri sono gli intelligenti riferimenti cinematografici che emergono con chiarezza: Joel e Ethan Coen, Raoul Ruiz, Tsai Ming Liang, certo cinema di Kim Ki-duk. In sostanza Meduse è un film colto che rielabora in maniera autonoma impulsi espressivi di notevole spessore. Ciò che impressiona in questo lungometraggio è anche la cura assoluta della sfera formale. Il film infatti, pur non eccedendo in formalismi e soluzioni estetizzanti (in linea perfetta con i dettami del surrealismo), presenta delle inquadrature dal forte impatto compositivo, spesso costruite su un abile uso degli obiettivi. Una certa contenuta disperazione emerge dalle storie raccontate dal duo Keret-Geffen, una specie di rassegnazione a una vita senza senso nella quale i sentimenti veri sono fraintesi, dimenticati, soppiantati da relazioni prive di sostanza. In questo quadro, decisamente deprimente, le azioni umane perdono di significato e tutto rimane bloccato in una dimensione mentale che impedisce il verificarsi degli eventi.

© CultFrame 11/2007

TRAMA
Tel Aviv, Israele. In una città dall’atmosfera rarefatta e sognante tre donne vivono paradossali ed enigmatiche vicende parallele: una ragazza si è appena sposata ma che non può, a causa di una frattura, recarsi in luna di miele; una cameriera di banchetti matrimoniali incontra una stralunata bambina che sembra essere stata abbandonata; una badante filippina ha un rapporto conflittuale con la sua assistita.

CREDITI
Film: Meduse / Titolo originale: Meduzot / Regia: Etgar Keret, Shira Geffen / Sceneggiatura: Shira Geffen / Fotografia: Antoine Hérbelé / Montaggio: Sascha Franklin, François Gediger / Musiche: Christopher Bowen / Interpreti: Sarah Adler, Tsipor Aizen, Bruria Alberk, Ilanit Ben Yaakov, Assy Dayan / Produzione: Yael Fogiel, Laetitia Gonzales, Amir Harel, Ayelet Kit / Distribuzione: Sacher Distribuzione / Paese: Israele, Francia, 2007 / Durata: 80 minuti

SUL WEB
Il sito di Etgar Keret
Filmografia di Etgar Keret

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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