Dopo Parigi, Losanna e Zurigo la prima retrospettiva postuma dedicata in Europa a uno dei più importanti maestri della fotografia approda a Reggio Emilia, nell’ambito della terza edizione del Festival della Fotografia Europea sul tema Umano, troppo umano. Il fotografo in oggetto è Edward Steichen (Bivange, Lussemburgo, 1879 – West Redding, USA, 1973), grande innovatore e sperimentatore; infatti, nella sua prolifica e densa carriera settantennale, che si dispiegò principalmente fra Parigi e New York, sperimentò vari generi fotografici, cercando per ciascuno di essi di valorizzarne le specifiche opportunità: realizzò ritratti con la stessa cura dedicata agli still life; riservò alle immagini di moda la stessa dedizione che offrì alle foto di guerra. E la mostra reggiana – curata da William A. Ewing, Todd Brandow e Nathalie Herschdorfer – permette di apprezzare l’intero percorso artistico di Steichen, poiché presenta più di 450 fotografie suddivise su due sedi espositive: a Palazzo Magnani numerosi vintage (provenienti da musei americani ed europei oltre che da collezioni private) testimoniano le varie fasi della sua epopea fotografica; ai Chiostri di San Domenico, invece, duecento immagini documentano gli anni spesi al servizio dell’alta moda.
Nella prima parte della mostra a Palazzo Magnani è possibile vedere alcune delle primissime fotografie (realizzate dal 1896 al 1899 perlopiù alle foreste e agli alberi di Milwaukee) ma, soprattutto, i primi successi realizzati all’inizio del Novecento. Infatti, pur avendo esordito come pittore, Steichen imparò in breve tempo a governare il nuovo mezzo, tanto che a soli ventidue anni “l’enfant terribile della fotografia” – come venne soprannominato – aveva allestito la sua prima mostra personale alla Maison des Artistes. Di questo periodo si possono osservare pregevoli ritratti (da Matisse a Stieglitz a Roosevelt) di cui uno dei più suggestivi è Rodin, Le Penseur, un omaggio che Steichen dedicò al sessantenne scultore francese: in un gioco di rimandi nella foto appare Rodin di profilo sulla sinistra, la sua statua di profilo sulla destra; entrambi, però, sono completamente oscurati e il nero delle sagome viene esaltato dalla candida ed evanescente immagine retrostante. Straordinaria è anche la stampa alla gelatina ai sali d’argento Lo specchio rotondo, in cui appare una donna nuda, in piedi e di schiena, mentre si guarda in un piccolo specchio rotondo inarcando morbidamente la schiena. Ci sono anche delle vedute (come quella del ponte di Brooklyn) che, pur nella diversità del soggetto ripreso, condividono con i ritratti lo stesso alone di poesia e di mistero. Tutto ciò è dovuto all’uso di chiaroscuri fortemente giocati sul ruolo preponderante dei toni scuri, dell’effetto flou (deliberata mancanza di nitidezza) e dei procedimenti pigmentari come la gomma bicromata che dà una parvenza pittorica alle foto. E, in effetti, in questo primo periodo Steichen aveva aderito a Photo-Secession, versione americana del pittoricismo europeo, collaborando alla sua promozione anche attraverso la redazione della rivista Camera Work e attraverso l’attività espositiva della ‘galleria 291’.
Poi, dal 1914 all’inizio degli anni Venti Steichen attraversò un periodo di transizione che lo portò ad abbandonare gli stilemi del pittoricismo (finì la collaborazione con il suo mentore Alfred Stieglitz) per avvicinarsi agli emergenti principi della Fotografia Diretta. Di questo periodo l’esposizione reggiana propone alcuni still life con conchiglie, fiori e farfalle, tutti resi con nitidezza e perfezione compositiva. Ma, del medesimo periodo, si possono osservare anche delle vedute aeree, risalenti al 1918 e realizzate in qualità di responsabile dell’equipaggiamento fotografico delle forze aeree: la strada per Forges vista dall’alto appare come un cumulo di macerie e fango, mentre la cittadina francese di Vaux è una distesa di case distrutte e inanimate.
Dal 1923 al 1937, invece, comincia una nuova fase della carriera che coincide con l’assegnazione a Steichen dell’incarico di primo fotografo delle edizioni Condé Nast e di responsabile, in particolare, delle riviste Vogue e Vanity Fair. Le immagini di questi anni dimostrano che non fu un mero esecutore al servizio della moda, ma seppe dare una tale spinta innovativa da essere a ragione considerato l’iniziatore della moderna fotografia di moda. Di questo periodo si può apprezzare un’ampia selezione di immagini ai Chiostri di San Domenico, immagini caratterizzate dall’esaltazione di linee angolari e diagonali, dalla nitidezza dei dettagli e dalla ricercatezza delle composizioni grazie anche a un’attenta orchestrazione delle luci. Le modelle (fra cui la sua musa Marion Morehouse e la futura fotografa Lee Miller vengono riprese in pose e ambientazioni che valorizzano le qualità degli abiti: siedono girate di schiena su poltrone, se devono mostrare l’ampio scollo di un vestito; sono di profilo, se devono far vedere la linea di un cappello; posano fra muri decorati e riflessi di luce, se devono evidenziare i motivi decorativi di un abito. Ma ci sono anche molti ritratti mondani (fra cui i più celebri sono quelli scattati a Greta Garbo), diversificati gli uni dagli altri per valorizzare il più possibile le qualità del soggetto ripreso: il pugile Carnera è immortalato a mezzo busto con il muscoloso torso nudo; lo scrittore Thomas Mann appare in una posa il cui portamento esprime signorilità; il sorridente scrittore H. G. Wells, comodamente seduto su una poltrona di pelle nera, trasmette rilassatezza; l’atteggiamento teso dell’autore teatrale Eugene O’Neil mostra severità; la gioia della creazione è al centro del ritratto a Walt Disney, il quale compare seduto per terra con una tavola da disegno appoggiata sulle gambe, mentre dietro di lui appaiono due grossi pupazzi di Topolino; l’attore e cantante Maurice Chevalier viene ripreso davanti a un muro sul quale, grazie a un gioco di luci, è proiettata la sua ombra diverse volte, moltiplicando così il suo ballo.
Una piccola sezione, poi, è dedicata alle fotografie pubblicitarie realizzate dal 1924 al 1938 per l’agenzia Walter Thompson per promuovere saponi, tovaglioli, le pellicole Kodak. Steichen seppe cogliere le opportunità offerte persino da questo genere fotografico, ottenendo risultati apprezzabili, anche se la sua scelta venne fortemente criticata da Stieglitz, Strand ed Evans. A seguire, ci sono le fotografie di guerra che scattò dal 1942 al 1945 nella veste di direttore del Naval Photographic Institute: le immagini sono tratte dalle serie Road to Victory e Power in the Pacific create per tranquillizzare i civili e convincerli della necessità degli Stati Uniti di entrare in guerra; difatti, non sono quasi mai immortalati momenti di violenza, bensì piloti a riposo o mentre si preparano a decollare, navi che solcano il mare, un marinaio di schiena sulla cui camicia c’è il disegno di una donna che si spoglia. Per concludere, l’esposizione reggiana presenta l’attività di curatore che Steichen svolse dal 1947 al 1962 in qualità di direttore del dipartimento di fotografia del MoMA di New York. In quegli anni organizzò quarantasei mostre, privilegiando fotogiornalisti e giovani autori e caratterizzando la sua attività con originali scelte di allestimento grazie al supporto di architetti e scenografi: egli usava esporre le foto senza incorniciarle, le faceva stampare di dimensioni diverse, le raggruppava, non le appendeva soltanto alle pareti ma le faceva calare direttamente dal soffitto. Tali modalità espositive sono evidenti osservando tanto la documentazione fotografica quanto la ricostruzione virtuale presentate a Reggio Emilia relativamente a The Family of Man, prima esposizione riconosciuta come patrimonio dell’UNESCO. The Family of Man è una famosa mostra organizzata da Steichen nel 1955 con l’obiettivo di dimostrare, secondo una visione ottimistica, che al di là delle razze e delle religioni, l’uomo è uguale ovunque: le 500 foto scattate da 273 fotografi di tutto il mondo mostrano l’essere umano in vari momenti della vita (dalla nascita alla morte) esaltando le similitudini.
I pregi della mostra sul lussemburghese a Reggio Emilia sono di presentare dei vintage, la cui qualità è impossibile da riprodurre sulla carta stampata, e di offrire un’ampia selezione di lavori che permettono di conoscere più a fondo la vastità della produzione di Steichen. Da ciò si evince come egli intuì immediatamente la versatilità di quel mezzo grazie al quale poteva esprimere e dare forma alle varie idee che gli venivano in mente. Perciò, seppe sperimentare tutte le opportunità e declinazioni del mezzo senza porsi alcun limite pregiudiziale. «La fotografia – sosteneva – registra la gamma dei sentimenti inscritti sul volto umano, la bellezza della terra e dei cieli che l’uomo ha ereditato e la ricchezza e la confusione che l’uomo ha creato. È una forza fondamentale per spiegare l’uomo all’uomo».
© CultFrame 05/2008
INFORMAZIONI
Edward Steichen – Un’epopea fotografica
Dall’1 maggio all’8 giugno 2008
Palazzo Magnani / Corso Garibaldi 29, Reggio Emilia / Telefono: 0522454437
Martedì – domenica 10.00 – 13.00 e 15.00 – 19.00
Chiostri di San Domenico / Via Dante Alighieri 11, Reggio Emilia / Telefono: 0522451152
Martedì – venerdì 18.00 – 23.00 / sabato, domenica e festivi 10.00 – 23.00
Biglietto: intero 9,00 euro / ridotto 6,00 euro
Cura: William A. Ewing, Todd Brandow, Natalie Herschdorfer
LINK
CULTFRAME. Mostra di Edward Steichen a New York