I libri prodotti, realizzati e curati da Giuliano Radici sono prima che opere di carattere editoriale/fotografico, veri e propri oggetti concettuali, all’interno dei quali la fotografia trova una sua collocazione mai banale e prevedibile. Seguiamo il lavoro del fotografo bresciano da diversi anni. Ci ha sempre colpito l’intensità e lo spessore non solo fotografico, appunto, ma anche filosofico delle sue opere.
Prendiamo come esempio la sua ultima ed elegante operazione editoriale: Pakistan – Immagini di terre e segni pakistani, immagini di uomini pakistani. L’impaginazione, la grafica, la qualità della carta e delle riproduzioni fotografiche sono già da soli fattori che elevano questo libro nettamente al di sopra della media italiana. Scorrendo le pagine, una ad una, ci si imbatte quasi immediatamente in un breve testo dello stesso Radici. Estrapoliamo un brano: “Guardo le foto e tutto mi riconduce in un solo mondo, limitato e intimo… non è Pakistan, non è India o Cina, non è Cambogia o Tailandia, paesi dove spesso il “viaggio” mi ha accompagnato e confuso, ma il “luogo dove confluiscono le mie illusioni… Forse questo è il mio compito… creare risonanze”.
Parole emblematiche e significative che riguardano l’agire di un fotografo non schiavo del clic autoreferenziale e narcisistico (tipico dello star-system del fotoreportage) ma concentrato nell’esplorazione non solo del mondo circostante ma anche, evidentemente, della sua interiorità. Le immagini di questo libro, dunque, si situano in una zona “altra” rispetto al modesto territorio del fotoreportage contemporaneo. La dimensione del lavoro di Giuliano Radici è integralmente filosofica e riflessiva, mai colonialista e demiurgica. Il fotografo bresciano coglie in pieno il senso del fotografare ponendo sullo stesso piano il viaggio fisico, in terre orientali, del suo corpo con il viaggio tutto mentale del suo sguardo.
Sguardo, coscienza, libertà espressiva. Giuliano Radici non mostra, e neanche racconta. Semplicemente traduce in segni visivi il suo personale, e alto, perdersi in una realtà che non può essere documentata ma solo evocata attraverso risonanze, appunto.
Proprio per tale motivo, questo suo libro sul Pakistan si apre e si scorre in direzioni opposte; si gira e si rigira tra le mani nella consapevolezza che la libertà del suo sguardo debba essere ripagata da una fruizione che sia in sintonia con il suo modo di cogliere risonanze, lievi sonorità visive, abissi di senso.
Potremmo soffermarci sulla qualità straordinaria del bianco e nero, sulla scelta anticonformistica della composizione delle inquadrature, sulla grana pastosa della stampa ma, a nostro avviso, faremmo un enorme torto a un fotografo il cui lavoro è racchiuso in un’espressività che utilizza elementi tecnico-stilistici solo per consentire alla psiche del fruitore di abbandonarsi a un tragitto percettivo che non può limitarsi alla trita questione estetica.
Sulle pagine di CultFrame, abbiamo più volte affrontato il problema enorme, linguistico, del reportage del terzo millennio. Come abbiamo sostenuto chiaramente contestiamo quel tipo di fotografia che in modo didascalico, “paternalistico” e moralista intende spiegare alla gente qualcosa, documentare “oggettivamente” il mondo. Questo atteggiamento ha generato una tendenza del reportage qualunquistica, ideologica e allo stesso tempo colonialista. Giuliano Radici si trova invece su un altro pianeta: non spiega ma tratteggia, non documenta ma evoca poeticamente, non racconta ma, senza schematismi, svela la sua (in)coscienza al lettore. Viene fuori da questa impostazione una fotografia libera e non convenzionale, una fotografia che ha a che fare con la materia del sogno, con lo stupore della conoscenza, la vertigine dello smarrimento.
©CultFrame 06/2008
CREDITI
Pakistan – Immagini di terre e segni pakistani, immagini di uomini pakistani / Autore: Giuliano Radici / Fotografie: Giuliano Radici / Editore: Ragiuart, 2007 / Progetto grafica: Nino Butani – Studio Oninart / Art Director: Giuliano Radici / 64 pagine
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