Dopo la retrospettiva del 1994, Annie Leibovitz torna alla National Portrait Gallery di Londra con oltre 150 fotografie scattate tra il 1990 e il 2005, gran parte delle quali incluse nel suo libro “A Photographer’s Life”, pubblicato nel 2006.
La Leibovitz è una fotografa che ha saputo, attraverso i suoi lavori, reinventare la concezione di celebrità e il modo in cui la società odierna ne viene a contatto attraverso i media. Nei quindici anni presi in considerazione dalla mostra londinese, si possono ritrovare foto famose, quali la Demi Moore incinta apparsa su Vanity Fair o l’immagine di Hillary Clinton vittoriosa al Senato. Tuttavia lo sguardo della fotografa si spinge oltre, includendo paesaggi senza tempo e al limite dell’immaginifico e territori intimi, che oppongono il silenzio, la bellezza e la morte al chiassoso, rutilante mondo dello spettacolo.
I lavori professionali realizzati su commissione si intrecciano a scatti personali, la cui scala ridotta in bianco e nero, fa da sottotesto ai grandi formati dai lucidi colori.
La retrospettiva offre la possibilità non solo di seguire l’opera della Leibovitz in maniera più profonda, ma di venire a conoscenza del lato umano, oltre a quello professionale. All’inizio del percorso espositivo sono le foto ufficiali, scattate a marzo dello scorso anno, alla viglilia del viaggio della Regina Elisabetta negli Stati Uniti. Sono quelle stesse immagini che divisero la critica e causarono polemiche per il falso trailer della BBC, secondo cui tra la Leibovitz e la monarca non sarebbe corso buon sangue. Si tratta di immagini in un senso tradizionali, la regina in vestito da sera, con una stola di pelliccia e una tiara di diamanti, nella cornice della White Drawing Room, una luce gialla che si diffonde dal volto ai ricami, alle dorature degli specchi e che fa pensare a certi ritratti secenteschi, con i chiari e gli scuri, la vita e la morte, tutto in un volto che a tratti mostra già la durezza di un busto ufficiale.
Ma una volta penetrati all’interno della mostra, si esplora un’infinita trama di relazioni pubbliche e personali, tra il soggetto e chi lo ritrae, fino ai legami più forti, quelli con l’amata, i familiari, i figli. Sono foto di gite al mare, raduni familiari, immagini di bambini dall’incarnato bellissimo e fragile, sguardi sinceri su vecchi genitori che si ammalano e muoiono.
Annie Leibovitz fu anche testimone della lunga, devastante malattia e della morte della scrittrice Susan Sontag, con la quale ebbe una lunga relazione. Davanti al cancro e all’inesorabile condanna, la fotografa sentì l’urgenza di registrare quel dolore, forse per cercare una verità, o la vita stessa. Le foto, una volta rese pubbliche, destarono forti reazioni, anche dissenso.
Con pietoso mistero l’obiettivo si fissa su tappe crudeli, le piaghe del corpo, la femminilità violata da cure invasive e avvilenti, la battaglia ormai perduta, la morte che irrigidisce il corpo livido avvolto nel vestito più bello. Come la stessa Sontag aveva scritto: “Ogni fotografia è un memento mori. Fare una fotografia significa partecipare della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra persona (o di un’altra cosa).”
Quello che rende interessante la mostra, al di là delle polemiche o dei casi sensazionali, è certo la dicotomia tra fama e morte, e il continuo slittare di piani, che impegna e disorienta il visitatore in un colloquio a tratti intimo e familiare, in cui riconoscersi emotivamente, ed altre volte effimero e affascinante, fatto di immagini da ammirare con curiosità e distacco.
©CultFrame 11/2008
IMMAGINE
©Annie Leibovitz. My Brother Philip and My Father. Silver Spring, Maryland, 1988
INFORMAZIONI
A Photographer’s Life, 1990-2005. Mostra di Annie Leibovitz
Dal 16 ottobre 2008 all’1 febbraio 2009
National Portrait Gallery / St. Martin’s Place, Londra / Telefono: +44.02073122463
Tutti I giorni 10.00 – 18.00 / giovedì e venerdì 10.00 – 21.00
Biglietto: £11
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