Non può esistere alcuna poetica audiovisiva se l’autore di un testo visuale non è in grado di articolare in modo personale gli elementi del linguaggio che utilizza.
Nel mondo del videoclip tale questione rappresenta una “faccenda irrisolta”. Esistono, infatti, alcuni stilemi consolidati e codificati, veri e propri schemi comunicativi incentrati soprattutto sulla velocità del montaggio e sul numero copioso delle inquadrature. Ciò che conta non è tanto evocare in modo appropriato i significanti prodotti da una voce quanto piuttosto riprodurre attraverso segni linguistici rassicuranti il codice all’interno del quale lo spettatore si può facilmente ritrovare. È per tale motivo che il vero problema del formato videoclip è attualmente quello della sostanziale sterilità della lingua audiovisiva (intesa come sistema di iterazione di codici sempre uguali a se stessi) sulla quale è costruito. In sostanza, molti videoclip finiscono per rispecchiarsi a vicenda producendo una sorta di ridondanza collettiva abnorme.
Come si potrebbe evitare ciò? Semplice, utilizzando un meccanismo creativo diverso. Proviamo a delinearlo: analizzare le caratteristiche di una voce, identificare la sua valenza profonda, e successivamente organizzare un sistema audiovisivo in grado di evocare il corpo sonoro di questa voce.
Purtroppo, nella maggior parte dei casi molti cantanti (uomini o donne che siano) si esprimono attraverso un profluvio di significati derivanti dal senso del testo del brano. Tale massa di significati spesso è totalmente prevedibile (per non dire banale) e finisce per sminuire la forza comunicativa dello strumento che utilizzano: la voce, appunto.
Ebbene, Malika Ayane è sotto questo punto di vista artista sicuramente non convenzionale. È possibile affermare come il suo strumento espressivo naturale (la voce) sia una sorta di centro propulsore di significanti (non di significati), una macchina vocale (in senso beniano) che si manifesta attraverso le articolazioni, le sfumature e l’essenza stessa del suono. La “bellezza” (passateci questo termine non critico) di un’esecuzione di Malika Ayane è dunque costituita principalmente dall’emissione dei suoni, spesso coperti, bruniti, arrotondati e contraddistinti dalla stratificata complessità della voce e da un’impronta stilistica del tutto personale. Il significato del testo passa a nostro avviso in secondo piano, non perché non abbia un valore oggettivo, ma semplicemente perché secondario rispetto alla dimensione significante della voce, che in Malika Ayane è palese. Il nucleo poetico di un suo brano non è dunque rintracciabile nel senso delle parole ma nella voce, ovvero nella “phoné”.
Come realizzare dunque un videoclip in grado di non inquinare il mistero di questa complessità espressiva?
Certamente, non puntando solo ed esclusivamente sull’effetto codificato frutto di un’iterazione generalizzata, ma articolando una serie di segni in grado di dialogare con gli aspetti poetico/fonetici espressi dall’interprete in questione. Il videoclip del brano “Come foglie” rappresenta sotto questo punto di vista una specie di opera emblematica poiché la struttura significante del testo audiovisivo è in perfetta sintonia con la natura significante della voce di Malika Ayane.
L’autore è Federico Brugia, regista pubblicitario tra i più sensibili a livello visuale del panorama internazionale. Il cardine di questo videoclip è senza dubbio la dissolvenza al nero. Tale meccanismo, ripetuto morbidamente e in modo ciclico, sostiene il ritmo del brano con assoluta delicatezza e determina in chi guarda il rinnovamento di un’attesa. Ogni dissolvenza è una specie di piccola morte, di voluta sospensione del senso, di coitus interruptus, di inciampo, che annuncia una rinascita e una nuova piccola morte. Il tutto proprio per lasciare spazio alla voce.
Il videoclip acquista così, allo stesso tempo, una dimensione emotiva ed erotica. Le atmosfere malinconiche del brano sono giustamente misurate e ricomposte in un quadro espressivo in cui le inquadrature di Brugia giocano un ruolo centrale. Ogni immagine possiede al suo interno una sorta di abisso, di (sano) squilibrio controllato che permette al fruitore di trovare autonomamente la sua strada interpretativa. La macchina da presa si muove lentamente, a volte è lievemente instabile; il soggetto ripreso è sempre all’interno di una struttura compositiva dinamica subliminale, le sfocature sono semplicemente la traduzione visuale della parte emotiva che emerge anche dal colore e dal timbro della voce dell’interprete.
Come foglie è un raro esempio (per quel che riguarda la produzione italiana) di autonomia poetico/espressiva del formato videoclip, autonomia generata dall’incontro di una cantante (vera) e di un regista (vero) che evidentemente considerano i rispettivi linguaggi nei quali operano territori nei quali non esiste la tirannia del significato e in cui l’articolazione di una tecnica è funzionale a far emergere un potente lirismo interiore, onirico e, per fortuna, non del tutto decifrabile.
© CultFrame 03/2009
CREDITI
Come foglie / regia: Federico Brugia / interprete: Malika Ayane / album: Malika Ayane – Sanremo 2009 / anno: 2009 / etichetta: Sugar Music / produzione: The Family
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