Democratic Camera. Photography and Video 1961-2008. Mostra di William Eggleston

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

william_eggleston-greenwoodUn’imponente e razionale mostra dedicata a William Eggleston presso la gigantesca Haus der Kunst di Monaco di Baviera, ci fornisce la possibilità di riflettere sull’opera di un importante autore, il cui nome non è così diffuso tra le giovani leve della fotografia come meriterebbe. Le grandiose e inquietanti sale della Haus der Kunst hanno ospitato un’esposizione intitolata William Eggleston. Democratic Camera. Photography and Video 1961-2008. La fruizione agevole della mostra, dovuta anche agli spazi del museo tedesco, ha permesso al fruitore di riflettere con la dovuta attenzione nonostante le immagini, a causa del loro formato non enorme, finivano quasi per perdersi nelle immense pareti dello spazio in cui erano esposte. In verità, confrontandosi con il percorso espositivo ci si poteva rendere conto perfettamente della forza sovrumana delle opere presentate, forza espressiva che scaturiva dalla struttura stessa delle immagini, dall’impostazione linguistica e stilistica sulle quali erano basate. Si tratta di una forza algida, per nulla veemente, che tocca profondamente il visitatore e che si manifesta non con elementi drammatici ma al contrario grazie alla ricerca di pulizia e semplicità formale messa in atto da Eggleston. In tal senso, non esiste aggettivo più giusto di ‘democratico’ per definire il lavoro di un autore, totalmente leggibile quanto apparentemente poco incline a parlare del suo lavoro.

 

william_eggleston-memphis1In una saletta minuscola, rispetto ai saloni elefantiaci della Haus der Kunst, veniva mostrato un dvd in cui William Eggleston era ripreso nelle diverse fasi del suo lavoro, sia nel suo studio che all’esterno. L’autore americano ha modi schietti, minimalisti ed enigmatici. Per certi versi, il suo comportamento è parallelo e concorde al suo universo espressivo, basato su una compostezza linguistica che appare collegata proprio al concetto di democratizzazione dell’azione/fruizione fotografica. Eggleston si muove lentamente negli ambienti che ha scelto come grande scena da cui attingere per alimentare il suo mondo creativo.   Il suo atteggiamento non ha nulla di divistico; lavora sommessamente, puntando su un sottotono sospeso. L’artista cammina lentamente, guarda pochi secondi e poi porta il mirino al suo occhio. Uno, due, tre secondi al massimo, ed ecco lo scatto, quasi mai ripetuto. Il suo girovagare, senza meta, non è frenetico; il suo gesto non è “aggressivo”. È il riflesso della realtà che nutre il suo sguardo. Quest’ultimo sembra insensibile a ogni sollecitazione esterna ma è una vera e propria spugna che cattura segni ed inoltre sembra muoversi in una sorta di percorso a metà tra il perdersi onirico della mente e l’effetto trance.

 

william_eggleston-untitledÈ possibile dunque affermare come la fotografia e lo sguardo di Eggleston finiscano non solo per sovrapporsi ma per divenire lo stesso identico elemento. Ciò non significa che lo sguardo del fotografo americano produca simulacri di realtà. Tutt’altro. Le sue inquadrature operano su un piano evocativo e si manifestano come icone significanti che non necessariamente finiscono per generare significati. Lo stile di  Eggleston appare glaciale e statico, ma non per questo l’autore non intende parlarci dell’umanità, del suo mistero e del suo enigmatico valore. Il risvolto sociale della sua fotografia più che nei temi trattati e nel suo presunto rapporto con la realtà, dunque è rintracciabile nell’accessibilità al mistero del senso delle immagini che Eggleston consegna senza sovrastrutture al fruitore. Il tutto con sublime semplicità. Ed ancora: più del colore, Eggleston è il grande sperimentatore della sostanza insondabile  della fotografia che nella sua opera non viene mai imprigionata nella funzione asfittica della rappresentazione. Un’opera di Eggleston raffigura, sgambettando il reale e producendo dunque un corpo visivo che si autogenera ogni volta, al di là del significato. Più democratico di così non si può. E tale aspetto è emerso con totale chiarezza dalla mostra della Haus der Kunst di Monaco di Baviera, un vero e proprio viaggio  in una dimensione che è visionaria proprio perché smonta i luoghi comuni della realtà e che ha influenzato certamente molto cinema moderno, da Wim Wenders fino a David Lynch.


©CultFrame 05/2009

IMMAGINI

1 William Eggleston. greenwood, mississippi (detail), 1973. whitney museum of american art, new York. gift of anne and joel ehrenkranz. ©eggleston artistic trust. courtesy cheim & read, new york

2 William Eggleston. memphis, c. 1969–71, from william eggleston’s guide, 1976. collection of john cheim. ©eggleston artistic trust. courtesy cheim & read, new york

3 William Eggleston. untitled, 1976, from election eve, 1976.  ©eggleston artistic trust. courtesy cheim & read, new york

INFORMAZIONI

Dal 20 febbraio al 17 maggio 2009

Haus der kunst / Prinzregentenstrasse 1,  Munich / Telefono:  +49(0)8921127 / Email: mail@hausderkunst.de

Orario: Tutti I giorni 10.00 – 22.00

LINK

Il sito di William Eggleston

Haus der Kunst, Monaco di Baviera

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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