Nell’ambito della quarta edizione del Festival della Fotografia Europea, fra le numerose esposizioni ospitate nella cornice reggiana il curatore Elio Grazioli ha inserito una mostra dedicata ai Googlegrammi di Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955). L’artista spagnolo – che ha esordito come giornalista e grafico pubblicitario per poi diventare docente, critico, curatore di mostre, caporedattore della rivista Photovision – grazie a un curriculum “ibrido” si è accostato alla fotografia, considerandola come un oggetto di comunicazione e, quindi, come una costruzione concettuale. Perciò, i suoi lavori si rivelano particolarmente stimolanti nell’approfondimento del tema del festival di quest’anno, vale a dire L’Eternità. Il tempo dell’immagine. Infatti, le mostre selezionate evidenziano quella capacità peculiare del medium fotografico di “cogliere l’attimo”, insomma di fermare il tempo trasformando un istante da fuggevole a eterno; inoltre, pongono interrogativi circa le modifiche introdotte dall’uso di Internet. Per questo, nella presentazione della propria mostra, Fontcuberta accenna alle riflessioni del filosofo francese Pierre Teilhar de Chardin, il quale mise a punto nella seconda metà del Novecento una teoria evoluzionistica basata sull’esistenza di una “noosfera” (cioè di una coscienza collettiva) costituita dall’interazione fra le menti umane: secondo lui più nel corso del tempo le reti sociali sarebbero diventate complesse, più la “noosfera” avrebbe aumentato la propria consapevolezza. E, in questo senso, Internet ha rappresentato un ottimo viatico. Oppure no?
Joan Fontcuberta si diverte a insinuare il dubbio negli osservatori. Come un illusionista ci porta a credere a realtà registrate nelle sue foto, salvo poi svelarci che sono frutto di trucchi e manipolazioni; così facendo, ci dimostra che siamo disposti a credere troppo facilmente alle verità preconfezionate della fotografia, confidando sulla sua presunta capacità di documentare oggettivamente la realtà. Anche quando è decisamente sospetta. Ed è così che dagli anni Ottanta del Novecento Fontcuberta ha creato erbari e bestiari di specie mai esistite, eppure così precisamente fotografate e scientificamente classificate da essere credibili; costellazioni che non sono altro che elaborazioni ingrandite del cimitero di insetti sul parabrezza dell’auto; fasulle odissee compiute negli anni Sessanta da un astronauta sovietico disperso nello spazio; presunte quanto finte foto realizzate da celebri artisti come Picasso, Dalì, Mirò, Tapies; scenari lunari ricavati da inquadrature ravvicinate di pagine in braille e molto altro ancora. Fino ad arrivare ai Googlegrammi, le opere presentate a Reggio Emilia.
Il processo di creazione del Googlegramma è il seguente: Fontcuberta seleziona alcuni scatti considerati icone della contemporaneità, poi li riproduce come foto-mosaici assemblando una mole considerevole di immagini (dalle 8.000 alle 10.000) trovate da Google nel web. La ricerca avviene tramite una lista di parole scelte dall’artista e che fungono da filtro e che, peraltro, producono non pochi incidenti di natura logica; una dopo l’altra tali immagini vengono ricomposte secondo criteri cromatici come fossero tanti pixel in modo da riprodurre la foto-icona scelta inizialmente. Tutto ciò avviene grazie all’uso di un software apposito (MacOsaix) messo a punto da Fontcuberta stesso e da alcuni collaboratori. Qualche esempio.
La foto del soldato Lynndie England che tiene al guinzaglio un prigioniero denudato ad Abu Ghraib a Bagdad è composta da immagini di persone citate nel Final Report of the Independent Panel, come l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush o il segretario del Dipartimento della difesa Donald Rumsfeld.
Il muro nella regione palestinese della Giordania occidentale è costituito usando immagini legate ai campi di concentramento nazionalsocialisti. Lo scatto con l’azione di Greepeace per salvare i delfini in acque contaminate è strutturata da foto legate alle multinazionali del settore chimico, molte delle quali sono ritenute responsabili dall’associazione di aver versato residui tossici negli oceani. E così via. Cambiano le foto (dalla cascata del Niagara alla cella della prigione di massima sicurezza di Guantanamo, dalla Grande Muraglia a un dettaglio del dipinto L’Ultima Cena di Leonardo) e le liste di parole per selezionare le migliaia di immagini che andranno a comporle, ma il procedimento resta il medesimo.
Tutto ciò mostra come certe foto, grazie all’immediatezza con cui ci vengono presentate e alla loro ripetizione ossessiva, vengano accettate come indiscutibili, mentre non sono altro che simulacri frutto di costruzioni spesso fallaci. E allora diventa chiaro come l’evoluzione della “noosfera” in reti tanto complesse quanto accessibili ha in sé delle falle: il mondo attuale ha subito un’invasione indiscriminata di notizie che non soltanto violano le norme di rispetto alla vita e alla privacy, ma saturano di segnali le nostre menti fino a produrre un rumore mediatico che ostacola il raggiungimento della conoscenza. Fontcuberta svela l’inganno e ci suggerisce di essere sospettosi, perché coltivare il dubbio è forse l’unico antidoto che abbiamo.
© CultFrame 05/2009
INFORMAZIONI
Dal 30 aprile al 7 giugno 2009
Chiostri di San Domenico / via Dante Alighieri 11, Reggio Emilia / Telefono. 0522451152
Orario: martedì – venerdì 18.00 – 23.00 / sabato, domenica e festivi 10.00 – 23.00
Biglietto unico: intero 10 € / ridotto 7 € / 1 maggio e 2 giugno mostre gratuite per i residenti del Comune di Reggio / 23 maggio mostre gratuite in occasione della Notte Bianca
Acquisto biglietti e info: Chiostri di San Domenico / Via Dante Alighieri 11, Reggio Emilia / tel. 0522 451722
Palazzo Casotti / Piazza Casotti, Reggio Emilia
Cura: Elio Grazioli