Atom Egoyan

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

atom_egoyan-exoticaAtom Egoyan. 1960 (Il Cairo)

 

Atom Egoyan è uno dei simboli del movimento artistico canadese contemporaneo. La sua identità è stratificata e complessa. Per tale motivo la sua dimensione artistica è catalogabile come tipicamente canadese, cioè poliedrica, densa di influenze e caratterizzata da una lucidità espressiva che può sfociare in un’organizzazione stilistica algida e apparentemente distaccata.

In Exotica (1994) questo gelo espressivo è radicalizzato, assolutamente cristallino. Pulsioni erotiche, sofferenze psichiche sono sublimate nella tensione voyeuristica che spinge alcuni individui a cercare di frenare il dolore che caratterizza le loro vite. Anche il locale “Exotica” è luogo indistinguibile e oscuro, la cui architettura interna, tendenzialmente kitsch, si manifesta visivamente come il rovescio della medaglia della vita esterna.

Gli spazi che circondano l’Exotica sono vuoti, periferie cadenti di metropoli che certamente pulsano di una vita propria (ma malata), periferie figlie dei rimasugli putrefatti del capitalismo che costringono ai margini desideri e anche  sentimenti. Il dolore è esorcizzato solo nella sterile visione di corpi nudi, fenomeno che genera un’implosione terribile delle pulsioni vitali le quali fatalmente, decomponendosi, finiscono per spingere gli individui verso la pazzia.

 

La poetica di Egoyan è evidente fin dai suoi primi lavori. In particolare, con Mondo Virtuale (1989), il regista fissa con precisione i punti fermi del suo metodo creativo. La vicenda si svolge in un albergo. Ambientazione simbolica di un luogo indeterminato, apparentemente vergine, pronto ad accogliere chiunque fornendo l’illusione che ogni fattore sia stato predisposto per il piacere individuale. In questo spazio senza umanità, appunto, si snodano fatti che chiamano in causa perversioni sessuali ma anche perversioni dei sentimenti. I rapporti sono privi di implicazioni affettive, si comunica preferibilmente per videoconferenza, strumento che distanzia le persone liberando le loro fantasie erotiche.

L’albergo ingloba idealmente questo mondo cristallizzato, facendo sviluppare negli individui bramosie senza umanità che servono a colmare abissi dell’anima terribilmente amari. L’albergo di Mondo Virtuale è lo stesso spazio rispetto al locale di Exotica, un microcosmo che non contiene ma che obbliga chi lo occupa a muoversi e a comportarsi in modo meccanicistico.

Questa considerazione sui luoghi significanti di Mondo Virtuale e Exotica ci induce ad evidenziare come Egoyan prediliga situare spesso delle scene anche in un altro territorio paradigmatico, per sua natura privo di coordinate precise: gli aeroporti. In questi ambienti essenziali, minimalisti, spogli, ogni essere umano diventa fragilissimo e inespressivo, puro involucro di sensazioni esposto a un mondo violento.

 

atom_egoyan-viaggio_di_feliciaQuesta esigenza di collocare storie e personaggi in un contesto totalmente algido si spinge fino alle estreme conseguenze in opere come Il dolce domani (1997) e Il viaggio di Felicia (1999). Le distese innevate della Columbia Britannica e il mare che bagna Irlanda e Inghilterra, ma anche le aree industriali britanniche, sono distese senza confini e separate dalla realtà nelle quali il dolore corrode internamente la mente e gli animi delle persone.

Ne Il dolce domani, una tragedia collettiva assurda, quanto banale, spinge un’intera comunità a introiettare il disagio esistenziale e a bloccare nel gelo dell’inverno canadese l’elaborazione del lutto che non riesce ad liberarsi con naturalezza. Un misterioso individuo, giunto da fuori, sembra voler risolvere lo stallo emotivo nel quale sono piombati i cittadini che hanno vissuto tale tragedia ma in verità finisce per stimolare nevrosi e rancori e per cercare semplicemente di guarire le proprie ferite, per dare senso a un’esistenza, la sua, devastata dal rapporto impossibile con una figlia fragile e tossicodipendente.

Ne Il Viaggio di Felicia, il personaggio centrale, un uomo frustrato e solo, vissuto in un’infanzia piena di umiliazioni, e soprattutto nella sottomissione totale a una madre erotica e carnale, sviluppa una nevrosi sessuale che ha due facce contrapposte: quella relativa alla sua immagine esterna, perfetta, e quella che concerne la parte interna, portatrice di morte. La ragazza irlandese che cade nella sua rete ama, invece, in modo anarchico un ragazzo inglese infrangendo violentemente confini ideologici, prima che geografici, e precipitando in uno spaventoso abisso di solitudine.

 

Egoyan gioca sempre la carta dell’ambiguità. Così, se sul piano del racconto descrive eventi legati alla sessualità e al tormento psicologico, sul quello visivo basa la sua narrazione su movimenti di macchina insinuanti, lenti e oscuri. Sono sguardi dinamici che sembrano condurre verso una risoluzione narrativa ma che poi finiscono per portare lo spettatore sempre nello stesso punto.

False verità (2005) è un’opera solo esteriormente organizzata come un noir ma la sua distanza dai codici dei generi cinematografici è evidente. Alla struttura narrativa tipica del noir si sostituisce in False verità una riflessione psicologica dai tratti filosofico-intellettuali.

In questo lavoro, Atom Egoyan priva della loro forza gli schemi dello star-system e utilizza il dispositivo ottico come uno strumento per rivelare il lato celato della mente dei personaggi principali, famosi conduttori televisivi e comici di grande successo. Lo stile di Egoyan è come sempre lineare e geometrico è lo schema formale ideale per raccontare una storia densa di stratificazioni e improvvise deviazioni di senso. Per Egoyan, raffigurare il reale significa non solo arrivare all’essenza della realtà ma rivelare la faccia nascosta della sofferenza umana. Dunque, è proprio attraverso una sorta di semplicità compositiva che l’autore riesce a scavare, svelando a se stesso e allo spettatore quanto sia complesso il percorso interiore di ogni soggetto.


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Quest’ultimo problema si collega a quello che senza dubbio è il film centrale della sua carriera: Ararat (2002).

La questione dell’identità armena di Egoyan si era già posta con forza in Calendar (1993). Il plot di questa opera appare significativo. Viene affidato a un fotografo armeno-canadese un lavoro molto impegnativo emotivamente: fotografare dodici chiese armene per realizzare un calendario. L’artista è accompagnato dalla moglie , la quale si innamorerà della guida locale e rimarrà in “patria”, appunto.

Ma con Ararat questa esigenza di riconoscere i confini di un’identità sepolta nel subconscio diventa l’obiettivo centrale di Egoyan, che si confronta artisticamente con il genocidio del suo popolo, immane tragedia del XX secolo che per decenni è caduta in un colpevole oblio.

Egoyan intreccia questa sua problematica con la realizzazione di un film sull’argomento e costruisce un mosaico narrativo che alterna piani diversi, i quali convergono verso il tema principale che affonda le sue radici negli strati profondi della psiche dell’autore. 

Il personaggio centrale, un giovane canadese di origini armene, è bloccato al suo rientro dal paese dei suoi avi, da una guardia doganale molto pignola. Il ragazzo ha riportato in Canada delle pellicole ed anche del materiale video che ha girato personalmente, materiale che dovrebbe essere utilizzato per un film sul genocidio del popolo armeno che è stato realizzato quasi integralmente negli studios canadesi. Mentre il giovane viene interrogato scorrono, espulse dal micro schermo della videocamera, in un flusso continuo di segni, le immagini del Monte Ararat, simbolo dell’Armenia che riporta lo sguardo dello spettatore alla sostanza contenutistica del film. Le sequenze video che Egoyan ha inserito in Ararat ricordano le straordinarie opere del fotografo francese di origine armena Antoine Agoudjan, raccolte in un libro fotografico pubblicato da Photo Poche Société, libro che contiene anche una prefazione proprio di Atom Egoyan.

Il monte Ararat, situato nell’estremo est della Turchia ai confini con l’Armenia, è raffigurato sia da Agoudjian che da Egoyan, come un elemento mitico che contiene la sostanza dell’anima armena ergendosi in un territorio orientale denso di storia e al centro di una convulsa confluenza di popoli.

 

 

BIOGRAFIA

 

atom_egoyanAtom è nato a Il Cairo (Egitto) il 29 luglio del 1960, ma poi si è trasferito insieme ai genitori in Canada (nella città di Victoria). È regista e produttore. La sua famiglia è armena, una sorta di nucleo etnico che, in modo molto morbido e senza particolari attenzioni alle tradizioni, agli usi e ai costumi, ha conservato la sua specificità culturale nell’ambito di una diaspora molto dolorosa, determinata dal genocidio che il popolo armeno dovette subire per opera dei turchi nei primi due decenni del Novecento.

Pur essendo cresciuto nel ricordo delle proprie origini, il regista ha sentito l’esigenza di “coltivare la memoria” in una fase ormai adulta, quando da tempo la sua famiglia era arrivata nel continente americano. Questo processo di attualizzazione del passato subisce un’accelerazione, forse non del tutto prevedibile, nel momento in cui, durante la ricerca di una attrice, in grado di recitare in armeno, Egoyan incontra quella che diventerà successivamente sua musa visuale e compagna: Arsinée Khanjian.

E’ dalla sua futura moglie, cresciuta più di lui nel rispetto delle tradizioni e soprattutto nell’uso corretto e costante della lingua armena, che Egoyan percepisce con precisione il senso del suo sentirsi armeno in terra canadese e la convinzione di dover esprimere questa condizione (ritrovata) nell’ambito di una cinematografia fortemente intellettualizzata, quasi astratta, ma anche legata in maniera indissolubile e potente al patrimonio culturale di cui è rappresentante.

 

©CultFrame 09/2009

 

 

FILMOGRAFIA

1984 – Next of Kin

1987 – Black Comedy

1989 – Mondo virtuale

1991 – Il perito

1993 – Calendar

1994 – Exotica

1997 – Il dolce domani

1999 – Il viaggio di Felicia

2001 – Krapp’s Last Tape

2002 – Ararat – Il monte dell’Arca

2005 – False verità

2007 – Chacun son cinéma (Ep. Artaud Double Bill)

2008 – Adoration

 

 

IMMAGINI

1 Dal film Exotica (1994)

2 Dal film Il viaggio di Felicia (1999)

3 Dal film False verità (2005)

4 Atom Egoyan

 

 

Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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