Baarìa ⋅ Un film di Giuseppe Tornatore

SCRITTO DA
Eleonora Saracino
Frame del film "Baarìa" di Giuseppe Tornatore

Nella luce accecante del sole siciliano un bambino corre, a perdifiato, fino a volare sopra la città ed iniziare un viaggio, attraverso gli anni e le epoche della nostra Storia. Inizia così Baarìa, ambiziosissima opera del regista siciliano che in 150 minuti non (ci) risparmia nulla. Tutto, in questo film, è infatti giocato sull’eccesso, dai contrasti di luce, alla musica, alle citazioni… Sovraccarico, roboante, spossante. Senza un attimo di tregua, Tornatore assedia lo spettatore, lo circonda di suoni, rumori, grida e note. Le vicende dei protagonisti si snodano in un crescendo di banalità tonante che assembla le sfumature del folklore siculo, svuotando ogni gesto (rituale, importante, endemico di una terra) di significato, reiterandolo fino a renderlo un mero luogo comune. Non c’è traccia di pathos in questo che voleva forse essere un affresco e finisce per diventare un piatto quadro dove si mescolano immagini già viste, fotografate da una luce che si fa, via via, sempre più artificiosa e stucchevole.

Il regista cita Bertolucci, certamente, ma anche Sergio Leone, Alberto Lattuada (che fa anche rivedere mentre gira Mafioso con Alberto Sordi), Luchino Visconti, Francesco Rosi e, cosa ben più grave, se stesso… Da Nuovo Cinema Paradiso a l’Uomo delle stelle senza trascurare Malèna (rievocata, dalla stessa Bellucci – qui in una “amichevole partecipazione” – nella celeberrima camminata in strada, davanti agli occhi famelici degli uomini del paese), Tornatore si autocelebra, incensa il suo cinema, lo innalza come un trofeo accanto alle opere di quei grandi ai quali si rifà, volendo dar prova di aver studiato e, come uno scolaro diligente, aver anche imparato dai suoi maestri. Imbarazzante questo tentativo, come lo è quello di raccontare la Storia attraverso generazioni differenti di una famiglia la cui saga si risolve in un interminabile susseguirsi di vicende di amori e onori, velleità politiche e antichi rancori, attingendo a piene mani dalla “sicilianità” del trito stereotipo.

Lo scorrere degli anni è scandito dalla musica, dai motivi riconoscibili, dalle canzoni che caratterizzano ogni epoca e che qui fungono da comodo escamotage per sopperire all’incapacità di tracciare una compiuta e coerente narrazione temporale. Una regia che vorrebbe librarsi alta in ogni inquadratura e che, al contrario, ottiene l’effetto di un’artificiosità lontana anni luce dal vero. Non è Novecento, non è La terra trema e il nocciolo della questione sta tutto qui, in questo “non essere”. Baarìa è, probabilmente, la storia di un sogno o, forse, il tentativo di realizzarlo: quello del grande cinema. Riuscire a farlo, poi, è un’altra storia.

© CultFrame 09/2009

TRAMA
Amori, contrasti, sogni e impegno politico, dagli anni Trenta agli anni Ottanta, nella provincia di Palermo, attraverso la storia di una famiglia raccontata attraverso tre generazioni, da Cicco al figlio Peppino fino al nipote Pietro.

CREDITI
Titolo: Barria / Regia: Giuseppe Tornatore / Sceneggiatura: Giuseppe Tornatore / Interpreti: Francesco Scianna, Margareth Madè, Nicole Grimaudo, Angela Molina, Lina Sastri, Salvo Ficarra, Valentino PIcone, Nino Frassica, Michele Placido, Vincenzo Salemme / Fotografia: Enrico Lucidi / Musica: Ennio Morricone / Montaggio: Massimo Quaglia / Scenografia: Maurizio Sabatini / Produzione: Medusa Film / Distribuzione: Medusa / Italia 2009 / Durata: 150 minuti

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Eleonora Saracino

Eleonora Saracino, giornalista, critico cinematografico e membro del Sindacato Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), si è laureata in Storia e Critica del cinema con una tesi sul rapporto Letteratura & Cinema. Ha collaborato con Cinema.it e, attualmente, fa parte della redazione di CulfFrame Arti Visive e di CineCriticaWeb. Ha lavorato nell’industria cinematografica presso la Columbia Tri Star Pictures ed è stata caporedattore del mensile Matrix e della rivista Vox Roma. Autrice di saggi sul linguaggio cinematografico ha pubblicato, insieme a Daniel Montigiani, il libro “American Horror Story. Mitologia moderna dell'immaginario deforme” (Viola Editrice).

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