“Mi interessa la mia percezione, non la realtà dei fatti. Non mi identifico in Michael Moore, piuttosto con Antonioni: la dimensione del mio lavoro non è politica, ma emotiva”. Questa dichiarazione di Erik Gandini, italiano d’origine e svedese di adozione, autore di Videocracy, costituisce un’ottima chiave di lettura per il suo bel film sull’Italia berlusconiana. Il giovane regista, già autore di documentari (Surplus, Gitmo) su aspetti importanti del mondo contemporaneo, con Videocracy non cerca lo scandalo né insegue il gossip, bensì ricostruisce la genealogia della “videocrazia”, il sistema politico-mediatico che, in tre decenni, ha trasformato il nostro paese, non più diviso tra destra e sinistra, ma tra chi è una celebrità televisiva e chi non lo è. Gandini non mostra niente di inedito o di sensazionale ma, grazie ad uno sguardo sensibile e lucido, nonché alla giusta distanza critica, fa vedere con occhio diverso fenomeni ai quali rischiamo, ormai, di essere assuefatti. Immagini di trasmissioni come “Colpo grosso” e “Drive in” scorrono, in apertura, a dimostrazione di come l’uso strumentale del corpo, la mera apparenza abbiano, con il tempo, finito per sostituirsi alla sostanza e alla profondità delle cose, dando vita ad una nazione in cui il passaggio da showgirl a Ministro per le Pari opportunità è un fatto naturale. Il primato dell’immagine su qualsiasi discorso o ragionamento è illustrato, nel film, in maniera semplice e chiara, persino da Fabrizio Corona che, a proposito di se stesso, commenta: “La gente non ascolta quello che dico: guarda il personaggio. Se fossi stato basso e grasso, non sarei diventato così famoso”. Lele Mora lascia aperta la speranza a tutti e conclude: “Popolare diventa chiunque: basta apparire”.
Attraverso Corona, Mora, aspiranti veline e tronisti, figure che dicono molto del sistema che le governa, Gandini restituisce l’affresco spietato di un paese in cui televisione e potere sono, davvero, la stessa cosa. Il flusso delle immagini televisive è specchio della personalità di Berlusconi, prima magnate della tv, poi Presidente del Consiglio: seni grossi, benessere, luci, colori eccessivi, opulenza, contribuiscono alla diffusione di una mentalità collettiva ossessionata dall’apparire e priva di qualsivoglia contenuto. Le parole di Mora su Berlusconi e Mussolini, il suo telefonino con la suoneria di “Faccetta nera” (“hai visto che carino?”) spaventano e allibiscono per la mancanza di consapevolezza. Videocracy ha il merito di far sentire allo spettatore, in maniera quasi palpabile, come il “divertirsi”, il “puro intrattenimento”, presentati sempre come innocui, siano, in realtà, assai pericolosi: la cultura della banalità e del disimpegno genera mostri più di quanto si possa, normalmente, temere.
©CultFrame 09/2009
TRAMA
Lele Mora, Simona Ventura, Flavio Briatore, Fabrizio Corona, aspiranti veline e tronisti sono i protagonisti, a volte consapevoli altre no, di un affresco spietato che ritrae gli ultimi trent’anni della televisione (e della politica) italiana dall’avvento delle tv private a oggi.
CREDITI
Titolo: Videocracy / Regia: Erik Gandini / Fotografia: Manuel Alberto / Montaggio: Johan Söderbergh / Musica: Johan Söderbergh / Produzione: Erik Gandini, Atmo / Distribuzione: Fandango / Svezia, 2009 / Durata: 80 minuti
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