Fazal Sheikh. Una mostra ad Amsterdam

SCRITTO DA
Valeria Pierdominici

fazel_sheikh-seynab_azir_wardeere-osdorp_kleinHuis Marseille,  Museo della fotografia, festeggia i suoi dieci anni di presenza sul Keizersgracht 401 ad Amsterdam e si prepara all’espansione della già spaziosa galleria nel 2011. Con l’occasione di questo decimo anniversario Huis Marseille e Fundacion MAPFRE presentano una retrospettiva del lavoro del fotografo Americano Fazal Sheikh (New York 1965).

L’accoglienza del corridoio è un po’ fredda: verdi gli infissi e grigio il marmo. Non subito ci si accorge dell’immensità della mostra dislocata su tre livelli con una sezione separata al di là del giardino, nella veranda a mezzaluna.

 

Importante la scelta del metodo usato dal fotografo per riuscire a realizzare spettacolari ritratti, grazie all’approfondimento e alla conoscenza del soggetto da fotografare e della raccolta delle biografie in un diario di viaggio: impossibile confondere un ritratto con un altro, una storia con un’altra.

La fonte da fotografare è quindi luminosa, aperta, e l’immagine fa sprofondare in un senso magico di immortalità, come se tornando in quel campo profughi, l’osservatore acquisisse sempre più sicurezza di trovare là ancora Menka (Ninfa celestiale), Parul Nandi (Il Fiore) e Pramila Satar (Chi ama).

Il risultato è una rassegna fotografica in bianco e nero che sfinisce il visitatore di emozioni e lo lacera, essendo  impotente di fronte alla violenza, al sopruso, all’ingiustizia e alla solitudine dei volti, ma lo incanta anche con la bellezza degli sguardi e dei lineamenti che diventano i confini delle carte geografiche dimenticate dalla politica internazionale.

Fazal scava nelle anime dei rifugiati in Africa e in Asia: ne fotografa la dignità e ne espone l’anima. Nomi e cognomi impressi sul muro in un perlato opaco accanto alle foto, parlano di: Jaida, Chhutya, Sarina, Visnali, Sandini, Shahi Bala.

Usa il ritratto classico: una sedia, un bambino e accanto la sua mamma o il suo papà, una sorellina o un componente della famiglia. Il primo piano acceca di limpidezza: lo sguardo è a fuoco e la bocca e il naso rimangono offuscati.

Impossibile dimenticare quegli occhi che sembrano seguirti nella sala e non abbandonarti mai.

Non comune è anche l’etica con cui Fazal Sheikh scrive le storie di ingiustizia verso le donne: decapitazioni, ustioni e morte ingiusta se si oppongono alla famiglia del marito; e poi verso le bambine, sottoposte a  iniezioni di ormoni per poterle far lavorare precocemente come prostitute. Nel leggerle si ha l’impressione che le persone siano proprio lì; se ne conosce il volto, e la terribile fine, chi le ha amate e cresciute, e chi le ha uccise. Sono proprio i loro familiari, che sussurrano al mondo cosa è accaduto, prima che qualcuno voglia negare che sia realmente accaduto.

 

fazel_sheikh-pigeons_indiaLe sezioni fotografiche si dividono in A Sense of Common Ground al piano terra, raccolta fotografica dell’ Africa dell’Est (1992-1994) grazie alla quale si visitano i campi in Kenya, Malawi e Tanzania dove migrarono centinaia di migliaia di persone dal Rwanda. A Camel for the Son (1992-2000) in tre campi profughi del Kenya popolati da famiglie somale. Lo sradicamento raggiunge anche i Paesi Bassi con Ramadan Moon (2000), commissionata dal Nederlands Fotomuseum di Rotterdam in cui il fotografo racconta la storia di Seynab Azira Wardeere,  fuggita da Mogadishu per raggiungere Amsterdam, in cui sogna durante in Ramadan, la sua terra perduta.

Al piano sotterraneo The Victor Weeps (1996-1998), raccolta effettuata durante il suo viaggio in Nepal, Bhutan e Pakistan durante il 1996. Lungo il confine tra il Pakistan e l’Afghanistan, si è trovato immerso in campi di rifugiati Afghani che sono fuggiti dopo l’invasione russa del 1979.

Al primo piano Moksha (2003-2005): fotografa parte nord della città di Vrindavan luogo ultimo per le vedove che non hanno più nessuna speranza di sopravvivere. Segue Ladli (2005-2008) dove viene raccontata la condizione di debolezza delle donne nella società indiana.

 

fazel_sheikh-abshiro_aden_mohammedProprio in Olanda Fazal Sheikh aveva presentato il suo lavoro fotografico all’inizio della sua carriera al Nederland Fotomuseum (1997-2001) durante il Festival della fotografia di Noordelicht nel 1997. È grazie alla collaborazione con il curatore Carlos Gollonet e la fondazione MAPFRE di Madrid che si apre ad Amsterdam un momento storico della fotografia. I diari su carta e legno del fotografo, le immagini scattate e raccolte insieme alle tragiche biografie scritte in spagnolo, sono accessibili al centro e agli angoli delle sale.

Lo scritto in Ramadan Moon nella veranda a mezzaluna assume un significato metaforico assoluto: non solo il talento del fotografo ha aperto gli occhi su fatti e realtà, ma anche se gli occhi del visitatore stessero dormendo, egli lo guida con il cuore ad essere vigile di fronte alle ingiustizie perpetrate nei conflitti in tutto il mondo.

 

©CultFrame 10/2009

 

 

IMMAGINI

1 Fazal Sheikh. Seynab Azir Wardeere, Asylum seeker’s centre, Osdorp, The Netherlands. ©Fazal Sheikh 2009

2 Fazal Sheikh. Pigeon roost, Vrindavan, India. ©Fazal Sheikh 2009

3 Fazal Sheikh. Abshiro Aden Mohammed, Women’s Leader, Somali refugee camp, Dagahaley, Kenya. ©Fazal Sheikh 2009

 

INFORMAZIONI

Dal 5 settembre al 29 novembre 2009

Huis MarseilleMuseum for Photography / Keizersgracht 401, Amsterdam / Telefono: +31 20 5318989
Orario: martedì – domenica 11.00 – 18.00 / chiuso lunedì

Biglietto: Intero 5 euro / ridotto 3 euro 

 

LINK

Il sito di Fazal Sheikh

Huis Marseille – Museum for Photography, Amsterdam

 

 

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