Provo a ragionare, forse confusamente, su una questione che appassionerà pochi ma che rappresenta, a mio avviso, un problema culturale significativo. Esiste un rapporto tra la fotografia italiana (di oggi), intesa come disciplina artistica, e la critica fotografica? Ci si potrebbe spingere ancora più in avanti: esiste una critica fotografica in Italia?
Critica (delle arti in generale) e mass-media (cartacei e tecnologici) non vanno più d’accordo da molti anni. Guardate che fine ha fatto la critica cinematografica sulle pagine dei nostri quotidiani: ghettizzata in spazi risibili, quando va bene, eliminata del tutto quando va male (cioè sempre più spesso). Non parliamo poi di quello che avviene sulle emittenti generaliste nazionali, un tempo fucina grazie alla quale si producevano idee critiche sotto forma di cicli e rassegne cinematografiche. Oggi, ci è rimasto solo Fuori Orario e null’altro, in un deserto che sta diventando sempre più ampio e punitivo.
E la critica fotografica? Forse nel nostro paese non è mai nata e attualmente emerge dall’oblio e compare sui quotidiani (per limitare le nostre considerazioni al mezzo informativo per eccellenza) solo grazie a episodi estemporanei, spesso legati ad alcuni eventi gestiti da grandi agenzie che ormai vedono nell’oggetto fotografia solo un bene da piazzare sul mercato.
Ma dove sono i critici della fotografia? Cosa fanno? Si parlano tra loro? E, soprattutto, si confrontano mai veramente con gli autori di oggi?
Sono domande a cui rispondere è decisamente facile. È, infatti, fin troppo semplice sostenere che una critica fotografica, intesa come corpo/sistema di studiosi, saggisti e giornalisti in grado di esprimere costantemente idee sulla fotografia contemporanea, non esista.
Ma qual è veramente il panorama attuale? Qui e là si leggono articoli sui giornali (sempre meno), le riviste specializzate abbondano di tecnica e prove di apparecchiature varie, qualche rara conferenza in occasioni di festival, ogni tanto si pubblica un libro spesso firmato da quegli accademici (più che altro degli storico/teorici piuttosto che critici impegnati nella contemporaneità) che magari riescono a proporre i loro scritti solo perché i loro libri saranno poi adottati come testi universitari (e qui bisognerebbe affrontare il capitolo editori).
E poi c’è la questione enorme della provenienza culturale di quei pochi che di critica fotografica si occupano in questo paese. Il più delle volte capita che di fotografia scrivano critici d’arte, con tutto ciò che ne consegue. Questo è un vecchio problema mai risolto per cui fatalmente la fotografia viene considerata un sottoprodotto artistico, una derivazione senza nobiltà di altre discipline più “alte?. Molto più raro (nonché incomprensibile) è il fatto che critici cinematografici si occupino di fotografia, ma in questo caso il problema è rappresentato dalla soffocante componente cinefila che li riguarda, spesso alquanto settarista.
Evitando di fare nomi e cognomi, possiamo dire che quei pochi soggetti che nel nostro paese si dedicano con passione alla riflessione critica sulla fotografia contemporanea, sia a livello cartaceo che telematico, appaiono decisamente abbandonati al loro destino, isolati, per nulla considerati nell’ambito degli spazi giornalistici (volutamente sorvoliamo sull’usanza di far scrivere di fotografia a sociologi, storici, letterati e intellettuali di varia provenienza che nessun rapporto hanno in genere con la fotografia).
E poi..? Ogni tanto ci si vede, tra critici, quando si è selezionati come lettori di portfolio, ma non si parla mai approfonditamente; qualcuno fa anche il curatore; qualche altro si è inventato il suo spazio di azione giornalistica e lo porta avanti con determinazione ma in isolamento; altri insegnano (all’Università, qualcuno nelle scuole di fotografia). Infine, ci sono quelli che fanno tutte le cose insieme.
In sostanza, la critica fotografica è una sorta di bolla evanescente che tende all’assenza. Ne consegue che a differenza dell’arte contemporanea, della letteratura, della musica e del cinema in cui chi produce “oggetti artistici” ha modo (anche se non in maniera perfetta e ideale e con tutte le problematiche legate alla mancanza di dialogo culturale esistente in Italia) di sentire la campana di chi riflette e studia, chi fa fotografia invece non ha una quasi mai una controparte con la quale confrontarsi e, al limite, scontrarsi. Vediamo, così, masse di volenterosi ragazzi che si avvicinano alla fotografia avere come punto di riferimento solo photoeditor, galleristi (pochi) e alcune agenzie che occupano massicciamente il mercato. Queste realtà hanno ovviamente un loro punto di vista e per ovvi motivi finiscono per portare solo acqua al loro mulino.
Il risultato è che i nuovi fotografi di oggi si sentono dire sempre le stesse cose: che esiste un solo modo di fotografare e che se si vuole diventare fotografi professionisti bisogna produrre solo un certo tipo di lavori. E il confronto vero e diretto sulla sostanza profonda della fotografia e sul senso dell’azione relativa allo “scatto”? Inesistente, direi.
L’assenza di una critica fotografica attiva e attenta è dunque un danno enorme per quel che riguarda la fotografia italiana. La sensazione che si ha quando un critico attivo in Italia si relaziona agli aspiranti fotografi è quella di trovare intorno un territorio già compromesso. Si parla, si analizza, si studia l’opera di un autore nascente ma quando poi si cerca di stabilire un dialogo costruttivo con questo autore si scorge nei suoi occhi solo un desiderio: dimenticare in fretta tutto ciò che ha sentito e andare a buttarsi tra le calde braccia dei photoeditor e dei proprietari di agenzie.
E il ruolo culturale della critica? Forse è solo un’idea utopistica e velleitaria. Forse In Italia una critica fotografica non esisterà mai? Forse quei pochi che stanno portando avanti una battaglia in tal senso, questa battaglia l’hanno già persa, magari anche per colpa loro (me compreso).
© CultFrame – Punto di Svista 11/2009