È morto Eric Rohmer. La notizia arriva un lunedì sera plumbeo. Ho appena lasciato Parigi, le sue strade, i suoi cinema. I luoghi dove forse lo stesso regista aveva passeggiato tante volte, guardato la gente passare, immaginato le storie che voleva raccontare, discusso di cinema con Rivette, Truffaut o Chabrol, i cineasti con i quali diede vita alla Nouvelle Vague.
Ricordo la mia personale folgorazione per questo regista, quando alla fine degli anni settanta, cinefilo bulimico e irrazionale, mi imbattei casualmente (ma non troppo) in una proiezione di un suo film: La collezionista (La collectionneuse). Giudicai questa prova filmica un capolavoro. Forse fu la sorpresa di vedere un testo audiovisivo così perfetto ed essenziale, forse fu la mia intima adesione alle elucubrazioni e alle esperienze esistenziali del personaggio centrale, forse fu la mia presa di coscienza nei riguardi di una cinematografia francese fortemente autoriale. Sta di fatto che La collezionista è rimasto per molti anni in cima alle preferenze cinefile.
L’approccio professionale al cinema mi ha poi portato a confrontarmi con questo autore in maniera costante e approfondita. Ho sempre atteso le uscite italiane delle sue opere, e quando ho iniziato a frequentare i festival ho sempre sperato di incrociare il suo ultimo lungometraggio nel concorso, o magari semplicemente nel programma ufficiale.
Il perché della mia attenzione verso la sua poetica è da ricercarsi nella questione dello stile (che alcuni giudicano assente, ma io non sono d’accordo), nella pulizia dello sguardo, nell’umanità dei suoi percorsi narrativi, nella capacità cristallina di organizzare il racconto, nella profonda volontà di conoscenza dei comportamenti umani.
Rohmer mi aveva sempre impressionato per il suo tragitto nel mondo del cinema, iniziato alla fine degli anni quaranta come critico cinematografico, poi proseguito nel gruppo dei Cahiers du Cinema, di cui sarà il fulcro della redazione per molti anni. Rohmer critico dunque, Rohmer studioso puntuale e geniale come dimostra il saggio scritto insieme a Claude Chabrol dedicato a Alfred Hitchcock, ancora oggi un testo di riferimento per chi si avvicina all’arte del grande regista inglese.
Dopo l’avventura critica, il cinema scritto e diretto. La Nouvelle Vague. L’esordio con un altro capolavoro: Il segno del leone (Le signe du lion) nel 1959 e poi la lunga cavalcata nella riflessione intellettuale, nell’interpretazione tutta cerebrale della condizione umana, delle relazioni amorose degli individui, della solitudine, dell’angoscia e del dolore. Tutto ciò, però organizzato espressivamente con una leggerezza e una linearità straordinarie. Tali elementi sono rintracciabili ad esempio in un altro dei suoi grandi film: Il raggio verde (Le rayon vert, 1986). Un’opera dai tratti dolorosi, un percorso in un animo ferito e solitario, con una conclusione densa di speranza e di calore; un calore improvviso, contenuto, commovente. Il raggio verde, che vinse il Leone d’oro alla Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia del 1986, faceva parte della serie “Commedie e Proverbi”, come altri due magnifici titoli: Le notti della luna piena (Les nuits de la pleine lune, 1984) e L’amico della mia amica (L’ami de mon amie, 1987).
E proprio l’esigenza di dare forma e razionalità al suo percorso creativo aveva spinto Rohmer a cercare sempre (quasi) di includere in serie in grado di dare corpo al suo pensiero filmico.
Ecco così I Sei Racconti Morali, con opere come La mia notte con Maud (Ma nuit chez Maud, 1969) e Il ginocchio di Claire (Le genou de Claire, 1970) e poi I Racconti delle Quattro Stagioni: Racconto di Primavera (Conte de Printemps, 1990), Racconto d’inverno (Conte d’hiver, 1992), Un ragazzo e tre ragazze (Conte d’été, 1996) e Racconto d’autunno (Conte d’automne, 1998).
Il suo ultimo lungometraggio, un vero trattato di poesia cinematografica, è stato presentato a Venezia. Il titolo era Gli amori di Astrea e Celadon (Les amours d’Astrée et de Céladon, 2007). Fu accolto in maniera tiepida, e non apprezzato da una parte della critica più giovane. Eppure si trattava di un’opera di rara eleganza e raffinatezza, certamente assolutamente estraneo a mode e tendenze.
Ora Eric Rohmer non c’è più. La sua lunga e rigorosa lezione di cinema e poesia purtroppo è terminata.
©CultFrame 10/2010
IMMAGINI
1 Eric Rohmer
2 Frame dal film Il raggio verde (Le rayon vert) (1986)
3 Frame dal film La collezionista (La collectionneuse) (1967)