L’esposizione Storia Memoria Identità presso l’ex Ospedale S. Agostino presenta il nuovo nucleo di opere entrate a far parte della collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena: dopo una prima acquisizione effettuata l’anno scorso e dedicata all’arte dell’Estremo Oriente, oggi – sempre con la curatela di Filippo Maggia – fanno il loro ingresso le opere di 29 artisti originari dell’Est europeo e che hanno molto da raccontare sulla nostra epoca. In un brillante saggio di qualche anno fa il sociologo Marco Belpoliti affermava che: “viviamo in un tempo penultimo: una fine che non finisce di finire”, individuando nei crolli uno dei tratti distintivi della contemporaneità. Uno di questi è, infatti, la caduta del muro di Berlino, un evento che rappresentò non soltanto la fine di un regime politico, ma soprattutto della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, inaugurando così una nuova epoca contraddistinta dallo spazio aperto della globalizzazione. Da allora l’Est europeo è coinvolto in un percorso di ridefinizione della propria identità in cui si trova a fare i conti sia con le proprie macerie sia con le prepotenti influenze capitalistiche che giungono dall’Occidente. Per questo, i temi affrontati nella mostra di Modena sono molteplici e sfaccettati.
Alcuni artisti volgono lo sguardo al passato, documentando elementi culturali tradizionali: la cecoslovacca Hanzlova realizza scatti con dettagli naturalistici in luoghi non ancora intaccati dalla civilizzazione; la russa Khoroshilova ritrae persone in vari punti della sua immensa nazione nell’intento di preservarne l’eterogeneità culturale; il lituano Didziapetris presenta un’installazione ispirata al programma radiofonico Come vivono le persone e dedicata al villaggio Konceptas sospeso in una dimensione fra realtà e idealismo; infine, la georgiana Asatiani immortala donne avvolte nella nebbia delle campagne dell’Anchara e che guardano dritto verso l’obiettivo con uno sguardo che sembra domandare quanto ancora durerà il loro mondo. Nella stessa direzione si muovono altri artisti che cercano le macerie tangibili del passato: la cecoslovacca Heger ritrae le sculture di animali in bronzo disseminate nei parchi berlinesi e che si dice siano state create dalla fusione di una statua monumentale di Stalin; l’ungherese Fogarasi presenta una videoinstallazione sulle condizioni delle case di cultura di Budapest che hanno visto avvicendarsi la cultura operaia, quella di propaganda, quella alternativa; il romeno Dan gira un video su un’imponente costruzione sovietica in Estonia presentata rispettivamente come sito archeologico, relitto di una navicella spaziale, santuario per nostalgici; il romeno Kiraly crea fotomontaggi in cui i resti del passato si mischiano con il vissuto personale; l’ucraino Petlura realizza ritratti collettivi allegorici con persone indossanti abiti folcloristici e d’epoca di reduci e spie; il serbo Stilinovic riprende foto e statuette di Tito svendute in mercatini dell’antiquariato.
Un gruppo di artisti diverso, invece, si sofferma sulle tracce dell’inevitabile contaminazione con la cultura occidentale, usando toni che vanno da un sarcasmo più o meno velato all’aperta critica. I video del curdo Atay e quello della romena Chisa e della slovacca Tkacova fanno vedere rispettivamente un anziano che ruba il pallone ad alcuni ragazzi per tirare un calcio in porta e una donna di mezza età che si esibisce in un goffo striptease; il macedone Musovik immortala in foto in bianco e nero dettagli dal cortile di casa sua accompagnandole con lunghe e ironiche didascalie (persino il tombino chiuso con la portiera di una macchina fa pensare a qualcosa di estraneo e selvaggio che arriva fin sotto alla finestra di casa); il polacco Pustola mostra angoli di un night club poco prima della chiusura in una nazione come la sua, permeata dalla morale cattolica; l’installazione della turca Cennetoglu racconta la storia di una zona di Istanbul che dopo l’abbattimento di un centro commerciale abusivo stenta a ridefinire la propria identità in bilico fra spiaggia, centro ricreativo per ferrovieri e caserma; nel video Great Expectation della croata Polijak frammenti della sua vita personale si alternano a immagini di abusi edilizi, mentre ogni tanto la voce narrante rammenta Take more, make more e, a fianco, è esposta l’emblematica foto The View in cui una donna si affaccia su un balcone che dà sul tetto di un’altra casa.
Una parte di artisti, poi, esprime una vena concettuale: le polacche Raczynska e Niesterowicz così come l’estone Semper usano il corpo come strumento di riflessione tramite, rispettivamente, inquadrature ravvicinate, il video di un uomo addormentato dalla cui bocca escono dei capelli, una donna che sale le scale strisciando su di esse al contrario; lo slovacco Ondak e il bulgaro Moudov sondano l’istinto dell’uomo di affidarsi alla fortuna o all’occulto, con il video di una persona che va a buttare una scatola di monetine in una fontana o nelle immagini di fondi di caffè affiancate dall’interpretazione date da una chiromante; infine, lo slovacco Koller crea surreali foto in bianco e nero, detti Flying Cultural Situation, con l’obiettivo di riattivare il pensiero. E, per finire, ci sono opere contraddistinte da uno spirito marcatamente politico. Nel video della bosniaca Bajevic assistiamo al primo piano di una donna minacciata da un braccio e da una voce fuori campo che chiede in modo perentorio Come vuoi essere governato?; nei ritratti della romena Croitoru si vede su diverse spiagge tropicali una donna in bikini sempre con un passamontagna con i colori della Romania; il collettivo sloveno IRWIN presenta i ritratti di soldati di diverse nazioni che da Kyoto a Praga hanno accettato di indossare al braccio la croce nera di Malevic, simbolo di un inesistente esercito sovranazionale; il polacco Libera riproduce con i LEGO i campi di concentramento, considerandoli l’emblema del Novecento; nel suo video la serba Tomic gira su un piedistallo ripetendo il suo nome in 64 lingue diverse e l’appartenenza ad altrettante nazionalità, ricevendo invisibili frustate; il video del polacco Zmijewski ripropone un esperimento (già compiuto nel 1971) in cui viene chiesto ad alcuni volontari di interpretare i ruoli di guardie e detenuti e, come allora, lo si deve interrompere dopo sette giorni per il manifestarsi di comportamenti violenti; la fotografia Centro di Permanenza Temporanea dell’albanese Adrian Paci mostra l’affollarsi di migranti latino-americani su una scaletta che dovrebbe condurli su un aereo che, invece, non c’è. Fra tutte le immagini quest’ultima, liberata dal senso precipuo, potrebbe apparire come la metafora perfetta di tutto l’Est europeo che, secondo la descrizione corale delineata dall’esposizione di Modena, sembra collocarsi in una dimensione sospesa fra un passato che non finisce di finire e un futuro che è impossibile da immaginare con certezza.
©CultFrame 12/2009
GLI ARTISTI
Marika Asatiani (Georgia), Fikret Atay (Turchia), Maja Bajevic (Bosnia), Banu Cennetoglu (Turchia), Alexandra Croitoru (Romania), Calin Dan (Romania), Gintaras Didziapetris (Lituania), Andreas Fogarasi (Ungheria), Jitka Hanzlova (Repubblica Ceca), Swetlana Heger (Repubblica Ceca), IRWIN (Slovenia), Anastasia Khoroshilova (Russia), Iosif Kiraly (Romania), Julius Koller (Slovacchia), Zbigniew Libera (Polonia), Anetta Mona-Chisa & Lucia Tkacova (Romania e Slovacchia), Ivan Moudov (Bulgaria), Oliver Musovik (Macedonia), Anna Niesterowicz (Polonia), Roman Ondak (Slovacchia), Adrian Paci (Albania), Aleksander Petlura (Ucraina), Renata Poljak (Croazia), Konrad Pustola (Polonia), Karolina Raczynska (Polonia), Ene-Liis Sempre (Estonia), Mladen Stilinovic (Serbia), Milica Tomic (Serbia), Artur Zmijewski (Polonia).
INFORMAZIONI
Dal 13 dicembre 2009 al 14 marzo 2010
Ex Ospedale Sant’Agostino / Via Emilia Centro 228, Modena / Telefono: 335.1621739 / info@mostre.fondazione-crmo.it
Orario: martedì – domenica 11.00 – 19.00 / chiuso lunedì / Ingresso libero
SUL WEB
Fondazione Fotografia (Fondazione Cassa di Risparmio di Modena)