Le Mythe Deneuve propone non un ritratto agiografico di Catherine Deneuve ma un vero e proprio saggio di storia e critica del cinema e di sociologia dei mezzi di comunicazione. Si tratta perciò di un lavoro approfondito e scientifico attraverso cui l’autrice ha cercato di articolare tra loro diversi approcci disciplinari per analizzare la figura e il lavoro di Deneuve. Il risultato è un libro documentato per studiosi di ‘star studies’ e di comunicazione ma anche una piacevole lettura per chi semplicemente ama il cinema e coltiva una passione per la Belle de jour. Tutta la carriera dell’attrice è ripercorsa alla luce dei film interpretati, della loro ricezione da parte di pubblico e critica, della copertura mediatica nelle cronache mondane e delle dichiarazioni rilasciate dalla stessa Deneuve. Le Gras analizza quasi tutte le pellicole interpretate sin dall’esordio del 1957, anno in cui Catherine Dorléac appariva ancora adolescente, e col suo vero nome, in Les collégiennes di André Hunebelle. L’ultimo film analizzato è invece 8 donne e un mistero di François Ozon (2002) anche se la filmografia in annesso è completa fino a tutto il 2009.
Il libro parte dalla constatazione che Deneuve è una delle attrici più longeve del cinema internazionale per ricondurre questo fenomeno alla coesistenza di classicismo e di modernità in una sola figura. L’attrice è infatti descritta come un punto d’incontro tra opposti, cultura di massa e di élite, cinema di genere e cinema d’autore, femminilità tradizionale ed emancipazione, star system internazionale e francesità, che a cavallo di tutte queste dicotomie ha gestito dentro e fuori dallo schermo il suo percorso artistico e professionale unico. Inoltre, dalla dialettica tra immagine cinematografica e immagine pubblica scaturisce ciò che l’autrice chiama la persona Deneuve. Nozione fondamentale in questo studio, la ‘persona’ è definita con le parole di H. Hopcke come quel “luogo della psiche in cui si incontrano privato e pubblico, dove ciò che siamo entra in collisione con ciò che ci è richiesto di essere” (p. 91).
Con Bella di giorno (1967) di Luis Buñuel, Deneuve inizia infatti a ricalcare quel modello di donna borghese allo stesso tempo gelida e dalla sensualità repressa che segnerà la sua persona e con cui lei stessa saprà giocare e soprendere gli spettatori nel corso del tempo. L’appoccio di genere adottato da Le Gras permette di rilevare un’ambivalenza tra i personaggi femminili portati sullo schermo da Deneuve fino alla fine degli anni Sessanta e la sua vita privata. L’attrice diventa una star interpretando una femminilità che si piega alle convenzioni (si veda ne Les parapluies de Cherbourg del 1964) o che si presta ad essere veicolo di misoginia. In Repulsion (1966) Polanski utilizza l’immagine angelica dell’attrice per meglio rendere il contrasto con una psiche tormentata e sanguinaria. Nella vita, invece, Deneuve rivendica la sua autonomia, il diritto di essere madre senza bisogno di un marito e si schiera a favore del diritto all’aborto.
Negli anni Settanta, in un cinema francese in crisi, i ruoli di donna diventano più realisti e un po’ meno tradizionalisti: è allora che Deneuve si trova a compiere una svolta che si rivelerà decisiva. La sua immagine sacra di donna intoccabile viene rimessa in discussione da pellicole come Tristana (1970) di Buñuel o La cagna (1972) ma anche parodiata come in Non toccare la donna bianca (1974) entrambi di Marco Ferreri. Farsi imbruttire, invecchiare e umiliare sullo schermo permette a Deneuve di rendersi credibile come professionista. Allora, anche da film di minor successo come Niente di grave, suo marito è incinto (1973) di Demy, Deneuve riesce a trarre beneficio, smarcandosi almeno in parte dallo stereotipo della borghese altera e frigida. Gli anni Settanta permettono quindi all’attrice di restituire un’immagine più complessa di se stessa, di affermare la propria capacità di variare ruoli, generi (comico, grottesco, western, fiabesco, drammatico, poliziesco), registri e anche di sorprendere. Questa evoluzione, spiega Le Gras, è in parte favorita dalla collaborazione con registi stranieri (Ferreri, Bolognini, Buñuel) e dall’aura di star aquisita dopo aver lavorato negli Stati Uniti (Mayerling, The April Fools aka Sento che mi sta succedendo qualcosa).
Gli anni Ottanta, segnano la consacrazione di un mito: con L’ultimo métro (1980) Truffaut le regala uno dei ruoli che segneranno in modo determinante il suo percorso facendone un’icona nazionale francese. Il film rientra nella categoria che Le Gras chiama “fiction patrimoniale”, cioè pellicole che rappresentano la storia francese in maniera plebiscitaria e federatrice. Anche grazie a questo ruolo, nel 1985 il pubblico francese la elegge “Marianna” e il suo busto scolpito con un berreto frigio sul capo, diventa souvenir da vendere nelle sedi comunali di tutto il Paese. Rientra nella categoria dei film patrimoniali anche Indocina (1992), in cui Deneuve non solo incarna una femminilità che piace ai francesi, elegante, un po’ altera e patriotticamente corretta ma rappresenta una vera e propria allegoria della Francia e del modo in cui essa ama vedersi.
Gli anni Ottanta sono anche quelli dell’incontro con Téchiné, regista capace di lavorare nelle pieghe dell’ambivalenza dell’attrice. Il loro sodalizio ha segnato in modo duraturo il lavoro di entrambi, dura tutt’oggi ed ha all’attivo sei pellicole (Hotel des Amériques, Le lieu du crime, Les voleurs, Ma saison préférée, I tempi che cambiano, La fille du RER). Per tutta la decade Deneuve continua a giocare con la propria immagine prestandosi tanto al cinema popolare quanto a quello d’autore senza rifiutare di collaborare con cineasti giovani come Mocky e Dupeyron. Da allora, il lavoro di Deneuve continua a spaziare tra pellicole più appartate (Carax, Garrel, De Oliveira, Ruiz, Von Trier) e grandi film di successo (Place Vendôme, 8 donne e un mistero). In anni più recenti, l’attrice che in passato si era dimostrata riluttante, come altre colleghe non ha disdegnato di recitare in film per la televisione (Les liaisons dangereuses, Princesse Marie).
In circa quattrocento pagine, il libro riassume quindi una carriera intensa e complessa. Di pagina, in pagina viene voglia di vedere o rivedere i circa cento film interpretati dall’attrice. Le Mythe Deneuve è arricchito da un apparato fotografico che raccoglie alcuni dei fotogrammi commentati nel testo. Il libro è appena uscito in Francia e ci auguriamo possa essere tradotto e diffuso anche in Italia dove l’attrice ha spesso lavorato e gode da sempre di una meritata ammirazione.
©CultFrame 04/2010
CREDITI
Titolo: Le Mythe Deneuve. Une star française entre classicisme et modernité / Autore: Gwénaëlle Le Gras / Editore: Nouveau Monde éditions, 2010 / Prefazione: Ginette Vincendeau / 463 Pagine / Prezzo: 28 euro / ISBN: 9782847364873
INDICE
Ginette Vincedeau / Introduction
Gwénaëlle Le Gras / Première partie : Mise en orbite d’une nouvelle étoile : 1957-1968 / Deuxième partie : Les avatars d’une image : 1969-1979 / Troisième partie : Le tournant du Dernier Métro : entre cinéma d’auteur et Qualité française : 1980-1992 / Quatrième partie : Une effigie nationale qui prend des risques : 199 à nos jours / Annexes / Filmographie / Bibliographie / Index des films cités