La mostra inaugurata dal nuovo direttore dello Stedelijk Museum, l’americana Ann Goldstein, è il risultato del progetto residenziale dell’artista Danese nel quartiere “Zuidas”, nuovo complesso finanziario olandese. È il terzo artista che partecipa al progetto, organizzato dal museo SMBA, in collaborazione con il “Research Group of Art & Public Space” alla “Gerrit Rietveld Academie” e il “Virtual Museum Zuidas”.
Kolding analizza attraverso i suoi collage e miniature il piano urbano del dopoguerra in Europa attraverso le conseguenze idealistiche e sociali coinvolte, ed è focalizzato sulla discrepanza tra la pianificazione delle idee architettoniche, la realizzazione delle stesse e le conseguenti implicazioni sociali dell’uso delle città da parte degli individui. L’artista dichiara provocatoriamente: “questo è il mondo moderno”. L’autore, oltretutto, è biograficamente coinvolto, in quanto è cresciuto in un nuovo complesso residenziale vicino a Copenhagen. Proprio per questo si concentra sull'”abitare”. Tale evento autobiografico lo rende personalmente critico nell’analisi degli spazi e dei linguaggi esperienziali individuali invece che interpretativi di massa.
La sua ricerca della realtà attraversa diversi piani: la pianificazione, i modelli esplorativi, predittivi, descrittivi e infine la realtà come porta che si apre all’uomo dopo aver attraversato tutti i livelli.
Che cosa veramente ci appartiene del mondo se non sentiamo nostri nemmeno i piccoli angoli di una città? Questo sembra chiedersi Kolding allo SMBA attraverso due spazi principali: un ingresso dove si possono prendere delle T-shirt stampate e un’ampia sala in bianco e nero che a terra ha due pile di poster gratuiti per il visitatore.
L’autore si pone un problema che risponde alla sua visione pessimistica: quello che ci rimane sono muri bianchi da imbrattare e collage tridimensionali in cui descrivere la rabbia e l’oppressione provocata dalla mancanza di solidarietà. Tolto lo spazio urbano disponibile, tutto ciò che si può rintracciare è l’assurdo surrealistico, l’utopia, e la nostra immaginazione a tratti legata ad una realtà manipolata.
Una spinta alla solidarietà e alla libertà quella di Kolding, che regalando bellissime magliette e poster a tutti i visitatori, porta il simbolico nello spazio occupato dalla mostra che in realtà è nostro e cosi lo dovremmo sentire.
Le città Europee del dopoguerra sono invece l’espressione di questo isolamento soffocante: gruppi di persone sono concentrate in alcune aree e altre in altre zone, il piano urbano è soggetto a divisioni etniche e di classe, l’intervento architettonico influenza brutalmente il modo di vivere la città radicalmente, lasciando l’umanità sottomessa alla manipolazione dalla speculazione edilizia, dell’intervento economico e politico che spinge a credere che un centro finanziario sia proprio quello di cui la gente, “il popolo” ha bisogno. Ma attenzione: non ci sono muri da imbrattare là, tutti gli spazi sono stati calcolati al fine di non permettere la silenziosa rivolta delle minoranze.
La mostra in bianco e nero, tra collage, foto e frasi incitanti esprime il disagio e l’assurdità dell’accettazione di qualcosa che potrebbe essere cambiato se solo la massa si svegliasse dall’incantesimo e si rendesse conto che il mondo non può essere solo una proprietà di qualcuno, una proprietà privata, perché ciò che rimane al singolo sono angoli bianchi e neri ritagliati.
Kolding non si rassegna: conoscere e sentire un problema rappresenta già l’accostarsi ad una paura negata ed è l’inizio di un cambiamento. Egli, infatti, vuole ripensare la concezione dello spazio: lavorare con le immagini per far capire che non ci sono solo il qui e il là, l’aperto o il chiuso, ma che lo spazio è qualcosa di pluridimensionale che ricopre diversi aspetti della vita dell’umanità e che va ripensato e immaginato.
Invece di offrire un’architettura prestabilita e opzioni ricreative statiche, la politica urbana dovrebbe offrire spazi gratuiti da interpretare e reinventare, da indossare su misura lasciando alla creatività del cittadino la decisione di come usarli e condividerli senza preordinare tutto con una dittatura istituzionale.
Kolding non offre un modello alternativo, perché proprio questa impostazione che lui combatte: il preordinato, il modello, lo schema.
Interessante è anche il concetto della ‘newsletter 115’ in cui Kolding ritaglia pezzi di comunicazioni tra se stesso e lo scrittore e curatore Luca Cerrizza. La conversazione a tratti poetica e giornalistica, e a tratti filosofica, acuisce lo sforzo intellettuale dell’osservatore che deve sapersi destreggiare tra filosofia, concettualistica delle immagini e socialismo, soprattutto quando si trova di fronte a frasi come: “i funzionalisti ignorano la funzione psicologica dei dintorni.” “La realtà è ciò che, quando smetti di crederci, non se ne va via.”
Il cambiamento urbano e il cambiamento legislativo della gestione dello spazio sono uno stimolo creativo forte in cui l’artista si sente come personificazione del nuovo: dare spazio al cittadino di esplorare “l’abitare” in differenti modi esistenziali dell’uomo, in cui il business men, hip-hoppers, skaters e l’architetto, il dottore e l’artista come altri possano interpretare se stessi in un ideale collage e gioco di ruoli interpretativo.
Jacob Kolding (1971, Albertslund, Denmark) ha studiato alla Royal Academy of Fine Arts di Copenhagen e ha esposto presso il Kunstverein di Hamburg, Team Gallery, Cubitt, Galleri Nicolai Wallner, Galerie Martin Janda and Overgaden Institute of Contemporary Art. Per il ‘Frankfurter Kunstverein ha realizzato una installazione semi permanente. Kolding è stato rappresentato alla Kwangju Biennale, alla Busan Bienniale e presso ‘Utopia Station’ a Venezia; il suo lavoro è stato esposto al Wattis Institute in San francisco, Palais de Tokyo a Paris, Museum of Contemporary Art San Diego, Moderna Museet Stockholm e al Paviljoens di Almere. Kolding vive e lavora a Berlino.
©CultFrame 04/2010
IMMAGINI
1 Jacob Kolding. Untitled, 2009-10. Poster. 84×60
2 Jacob Kolding. Untitled, 2010 A. Collage on paper. 2x26x17cm
3 Jacob Kolding. Untitled, 2010. Poster. 84×60
INFORMAZIONI
Dal 28 marzo al 16 maggio 2010
Stedelijk Museum Bureau Amsterdam / Rozenstraat 59, Amsterdam / Telefono: 020.4220471 / mail@smba.nl
Orario: martedi – domenica 11.00 – 17.00 / Ingresso libero
LINK
Stedelijk Museum Bureau Amsterdam – SMBA