Album fotografico di Giorgio Manganelli. Un libro a cura di Ermanno Cavazzoni

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Giorgio ManganelliEsiste un’affermazione dello scrittore Giorgio Manganelli particolarmente significativa: “non sono sicuro che le parole abbiano un significato, certamente hanno un suono”. È significativa perché in maniera caustica, e vagamente ironica, stigmatizza l’esistenza di quella prosopopea letteraria che induce scrittori, romanzieri e poeti a mettersi in una sorta di piedistallo nei confronti del lettore. Manganelli evidenzia, invece, perfettamente il senso del “dire una parola”, e dunque del “dire una frase, cioè del vero mistero della lingua che più che nei risvolti semantici risiede appunto nei suoni.
Ebbene, proviamo a sostituire il termine “parola” con “fotografia”, e cambiamo “suono” con “eco”. Ecco che l’intero impianto su cui è basata la “fotografia artistica ufficiale” viene a decadere per lasciare spazio a un’interpretazione della fotografia come lingua visuale che poco ha a che fare con la realtà e molto ha a che vedere la psicoanalisi e la struttura onirica della nostra esistenza.

La frase dello scrittore di origine parmigiana con cui abbiamo aperto il nostro articolo è tratta da libro intitolato Album Fotografico di Giorgio Manganelli (Quodlibet – 2010). Il volume è curato da Ermanno Cavazzoni ed è una sorta di racconto biografico costruito dalla figlia dell’intellettuale: Lietta Manganelli.
La struttura di questo curioso prodotto editoriale potrebbe essere definita  multilinguistica. Il racconto della vita di Manganelli è edificato intorno ai ricordi della figlia, scritti sotto forma di notazioni, e a fotografie private, familiari e anonime. L’aspetto più stimolante è proprio l’uso di queste fotografie, totalmente non artistiche, che esprimono in maniera nitida la personalità di Manganelli molto più degli episodi (seppur gustosi e interessanti) rievocati da Lietta.
Fototessere, immagini familiari, ritratti casuali, riproduzioni di ambienti intimi, manifestazioni pubbliche, istanti personali. Manganelli che esce da una salumeria dove era entrato per placare la sua “ossessione” nei riguardi del mangiare, oppure immortalato nello studio del suo psicanalista mentre legge la lettera della figlia che non vede da anni.

Le immagini fotografiche, dunque, in questo caso sono tasselli dell’emersione della memoria, flussi improvvisi dei sentimenti sopiti, affioramento di sensazioni legate all’inconscio e a esperienze di vita sepolte. Le notazioni della figlia (in alcuni casi non del tutto necessarie) aggiungono (troppo) senso a questo percorso fotografico che sarebbe stato autosufficiente anche senza alcuna spiegazione.
In questo libro la fotografia riacquista miracolosamente la sua funzione di territorio esistenziale nel quale la figura protagonista del racconto si rintraccia come elemento del tutto e non come personaggio-simbolo da esaltare narrativamente. I ritratti di Manganelli esprimono chiaramente la complessità della sua psicologia e comunicano grazie all’enigma delle sue espressioni la grandezza di un autore che mai ha operato secondo metodiche convenzionali.
Fotografia come apparizione, fotografia come risultato fantasmatico dell’identità di un individuo che aveva sempre avuto la percezione dell’assurdità della vita e dei comportamenti umani nonché della paradossalità della comunicazione scritta. Ma più che i ritratti dell’autore, sono altre le fotografie che lo evocano in maniera netta. Ad esempio, le fotografie che ritraggono l’apparente caos del suo studio o quelle che ci fanno vedere lo stravagante ordine della sua camera da letto.
La sostanziale assenza del suo sguardo in molte fotografie ci fa comprendere come Manganelli fosse sempre consapevole della fragilità della condizione umana e di come il sovradimensionamento della funzione della letteratura e dell’arte fosse uno degli equivoci fondamentali che caratterizzavano la società dei suoi tempi.

Non possiamo, dunque, che chiudere con un’altra frase a lui attribuita e che ci pare emblematica (non presente nel suddetto libro): “lo scrittore sceglie in primo luogo di essere inutile”. Ebbene, Manganelli pareva avere questa salutare consapevolezza, una consapevolezza che invece molti artisti e fotografi di oggi purtroppo non hanno.

© CultFrame 07/2010


CREDITI

Titolo: Album fotografico di Giorgio Manganelli / Sottotitolo: Racconto biografico di Lietta Manganelli / Cura: Ermanno Cavazzoni / Editore: Quodlibet / Collana: Compagnia Extra /Anno: 2010 / Pagine: 103 / Prezzo: 14 euro / ISBN: 978-88-7462-313-6

SUL WEB
Quodlibet

 

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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