Il manicomio non è che un condominio, anzi, è un “condominio di santi dove il dottore è il più santo di tutti ed è come Gesù Cristo”. Così Nicola, nella sua testa “elettrica”, illuminata da lampi di imprevedibile lucidità, definisce l’istituto dove vive da 35 anni. Nato nei “favolosi anni Sessanta”, ha trascorso la sua infanzia con una nonna “nata vecchia” e le sue galline le cui uova potevano fungere, all’occorrenza, da merce di baratto per ottenere una promozione immeritata o qualche vecchio abito usato ma ancora buono da portare. Una miseria, quella che ha visto crescere Nicola, che ha impoverito soprattutto l’anima. Nessun barlume d’amore, né dal padre, né dai fratelli, se non un’infantile passione per la compagna di classe Marinella che un giorno gli disse “ti avrei amato se mi avessi creduto” e su quel “se” il ragazzino immaginò storie e avventure, partendo per un viaggio marziano destinato a confinarlo per sempre nell’Istituto dei “matti”. Celestini narra così una favola tragica dove la follia e la fantasia sembrano essere due facce della stessa, mai spendibile, moneta. Nicola cerca la “normalità” nel suo mondo che, rispetto a quello esterno, sembra essere del tutto simile. Ma è solo apparenza perché lì fuori, oltre quei cancelli che i “matti” – come quelli delle barzellette – forse non vogliono scavalcare mai, c’è la paura di non farcela e, ancor peggio, quella che Nicola pare suscitare negli altri, come nello sguardo di Marinella, compagna ritrovata e mai dimenticata, che nutre per lui tenerezza e orrore, alla stregua di un personaggio di una fiaba affascinante e spaventosa.
Tratto dal suo omonimo libro, il film di Celestini non ha la forza deflagrante dei suoi monologhi a teatro e la parola perde ogni struggimento nella voce narrante che fa da sottofondo. La tragedia che si consuma nella mente di Nicola resta alla superficie, senza raggiungere mai la profondità del dolore. Come la filastrocca che il protagonista canticchia a se stesso, il film si limita a reiterare le immagini smarrendo l’ipnotico stordimento della ripetizione, inteso come simbolo di delirio privato. Dopo i documentari “Senza paura” e “Parole sante”, Celestini debutta nel lungometraggio con una prova coraggiosa ma deludente la cui purezza delle intenzioni risulta, al cinema, purtroppo inefficace.
© CultFrame 09/2010
TRAMA
Nicola è sempre stato un ragazzino diverso dagli altri. Un’infanzia trascorsa con la nonna, una mamma morta giovane e pazza e un padre e due fratelli grandi che lo hanno sempre ignorato. Da 35 anni vive nell’Istituto, “protetto” nel suo mondo che non gli sembra tanto diverso da quello esterno dove, però, l’unica cosa che sembra non potersi mai consumare è la paura.
CREDITI
Film: La pecora nera / Regia: Ascanio Celestini / Sceneggiatura: Ascanio Celestini, Ugo Chiti, Wilma Labate dal libro “La pecora nera” di Ascanio Celestini / Fotografia: Daniele Ciprì / Montaggio: Giogiò Franchini / Interpreti: Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Nicola Rignanese, Barbara Valmorin, Teresa Saponangelo, Luigi Fedele / Produzione: Passione / Distribuzione: BIM / Italia 2010/ Durata: 93 minuti
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Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
BIM