Se è vero che il cinema è finzione e verosimiglianza, è altrettanto inoppugnabile che puntare con forza sull’assolutà disponibilità da parte dello spettatore ad accettare passivamente tutto è un atteggiamento creativo quanto meno ingenuo. É proprio questa la sensazione che abbiamo avuto assistendo alla proiezione de La scuola è finita di Valerio Jalongo. Ci spieghiamo.
Nulla da dire sull’impostazione registico/visuale. Jalongo è regista capace. Sa girare, inquadrare, spostare la macchina da presa in modo puntuale, sa affidarsi alla potenza del montaggio quando ciò è necessario. Ma il cinema, quando lo si consepisce come un’arte anche narrativa (in senso popolare), non è solo un territorio puramente visivo/compositivo (anche se noi preferiremmo sempre questa opzione).
Nel caso de La scuola è finita, la parte relativa al racconto non è una banale componente del film; è, a nostro avviso, il cardine dell’intera operazione produttiva. Sì, perchè le tematiche sociali, legate al disagio delle generazioni dei liceali di oggi ma anche alla sofferenza di quei quarantenni che non hanno abbandonato il sogno di cambiare il mondo, rappresentano di fatto le reali motivazioni per cui è stato messo in piedi questo progetto cinematografico.
La sceneggiatura è stata firmata da ben quattro autori: lo stesso regista, Francesca Marciano, Daniele Luchetti e Alfredo Covelli. Un poker di scrittori di cinema di non poco conto che evidentemente conosce i segreti della finzione cinematografica a perfezione.
E allora perchè collocare all’interno di una storia, questa sì credibile (cioè la vicenda dell’emarginazione di un giovane della periferia romana), innumerevoli fattori così estremi da sfiorare l’assurdo. Ci riferiamo soprattutto ai due personaggi co-protagonisti: due professori che si fanno coinvolgere umanamente dal ragazzo al punto di rovinarsi la carriera e l’esistenza. Uno finisce in ospedale per un’overdose consumata in compagnia del giovane allievo, l’altra viene addirittura sospesa dall’insegnamento poichè è sospettata di aver avuto una relazione sessuale con lo studente. A ciò, bisogna aggiungere che i due professori, vagamente sprovveduti, erano stati sposati tra di loro.
A nulla serve la perizia tecnicista di Jalongo nella regia. Il film naufraga esclusivamente per questioni connesse all’eccesso di assurdità della trama, assurdità che oltretutto non trova alcuna corrispondenza nello sile realistico delle riprese.
Non può che venirci in mente, in conclusione, il lungometraggio di Laurent Cantet intitolato La classe – Entre Les Murs (2008 – Palma d’oro al Festival di Cannes). Si trattava di un’opera di grande rigore e severità formale ambientata in una scuola della banlieue parigina.
Era forse questo il punto di riferimento degli autori de La scuola è finita? Se così fosse, la missione è fallita.
© CultFrame 10/2010
TRAMA
Una scuola pubblica nella periferia romana. Un istituto disastrato che vede alcuni insegnanti prendere a cuore le sorti degli allievi più problematici. Uno di questi è Alex Donadei, ragazo con problemi di droga e solitudine che vive solo in attesa di andare a trovare il padre che lavora in un ristorante in Australia. Il professore di lettere e quella di scienze diventeranno i confidenti più stretti del giovane. Proprio questa loro propensione a condividere la sofferenza li metterà seriamente nei guai.
CREDITI
Titolo: La scuola è finita / Regia: Valerio Jalongo / Sceneggiatura: Valerio Jalongo, Francesca Marciano, Daniele Luchetti, Alfredo Covelli / Fotografia: Stefano Falivene / Montaggio: Mirco Garrone / Scenografia: Giada Calabria / Musiche: Francesco Sarcina / Interpreti: Valeria Golino, Vincenzo Amato, Fulvio Forti, Antonella Ponziani / Produzione: Giampiero Romualdi, Tiziana Soudani / Distribuzione: Bolero Film / Paese: Italia / Anno: 2010 / Durata: 85 minuti
LINK
Fimografia di Valerio Jalongo
Festival Internazionale del Film di Roma
Bolero Film