Il pericolo che si corre quando si intende girare un film politicamente corretto e incentrato sulla divulgazione degli ideali pacifisti è quello di scadere nel banale e nel prevedibile. Come sempre sosteniamo, non bastano buone intenzioni e argomenti forti, e totalmente condivisibili, per fare di un lungometraggio un’opera d’autore (degna di nota). Ci sono altre questioni che devono necessariamente entrare in ballo: lo stile registico, l’impostazione fotografica, la direzione degli attori.
Il problema che riguarda il film di Susanne Bier intitolato In un mondo migliore è che le tre caratteristiche sopra elencate sono presenti, ma nonostante ciò la pellicola finisce per precipitare nella pura esaltazione di una visione esistenziale dai tratti utopistici, quasi infantili. Ma andiamo con ordine.
Il tema della non violenza e del rispetto degli esseri umani nei riguardi del prossimo è cinematograficamente una specie di macigno, poiché è assai difficile argomentare in modo lucido una posizione che filosoficamente è assolutamente nobile ma che nella vita comune diviene ostacolo quasi insormontabile. La stessa Bier a un certo punto della narrazione è costretta a far vedere il personaggio centrale della vicenda, un medico pacifista, girare le spalle mentre un gruppo di suoi pazienti africani lincia un feroce e disumano criminale (che apre i grembi delle donne incinta per vedere di che sesso sia il nascituro) a cui ha appena curato una grave ferita a una gamba. Eppure Anton (come vediamo in una scena precedente a quella appena descritta) è così convintamente non violento da non reagire minimamente all’aggressione di un energumeno demente che lo schiaffeggia violentemente davanti ai figli per futilissimi motivi.
Qual è dunque il messaggio che vuole comunicarci la regista danese? Che tutti noi siamo una contraddizione vivente? Che è molto facile definirsi non violenti e poi far fare “i lavori sporchi” agli altri? Che la vendetta non è un sentimento umano?
Insomma, ci pare che ci sia un’ambiguità di fondo in questa operazione filmica, poichè l’autrice sembra dare un colpo alla botte uno al cerchio, utilizzando i reali problemi dell’Africa disastrata e sofferente per far vedere che ci sono degli occidentali buonissimi. Così facendo, però, è incorsa nella tipica rappresentazione colonialista europeo/americana di talune popolazioni africane, raffigurate sempre e solo nella loro assoluta povertà.
Le scene ambientate in un campo profughi dove Anton presta servizio sono di rara prevedibilità, così come è insopportabile la concezione secondo la quale qualsiasi inquadratura girata in zone desertiche debba essere caratterizzata da una luce gialla densa e appiccicosa.
Ci sembra, dunque, che In un mondo migliore sia un lungometraggio contraddistinto da tante buone intenzioni ma che non faccia altro che riproporre luoghi comuni già molto sfruttati anche dal cinema contemporaneo. La realtà è che il mondo è molto più cinico e arido di quanto Susan Bier ci faccia vedere. Non basta quel po’ di pessimismo che emerge in alcune sequenza a rendere il film credibile; la società in cui viviamo, come la storia dimostra tristemente da millenni, è domintata da un’idea di sopraffazione e di violenza che purtroppo può emergere all’improvviso in ognuno di noi, anche nelle persone più miti e per bene. La “banalità del male”, la definirirebbe la filosofa tedesca Hanna Arendt.
© CultFrame 10/2010
TRAMA
Anton è un medico svedese che vive tra la Danimarca, dove si trovano la moglie danese e suo figlio, e l’Africa, dove opera come medico in un centro umanitario. Quando si reca in Danimarca per trovare il figlio, Anton sarà vittima di una brutale aggressione alla quale non risponderà perchè convinto non violento. Il giovanissimo figlio invece non riuscirà a superare l’odio che prova per il criminale che ha picchiato il padre e in combutta con un suo compagno di scuola cercherà di rispondere, a suo modo, con la violenza.
CREDITI
Titolo: In un mondo migliore / Titolo originale: Haeven – In a better World / Regia: Susanne Bier / Sceneggiatura: Susanne Bier, Ander Thomas Jensen / Fotografia: Morten Saborg / Montaggio: Morten Egholm, Pernille Beck Christiensen / Scenografia: Peter Grant / Musiche: Johan Soderqvist / interpreti: Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen / Produzione: Sisse Graum Jorghensen / Distribuzione: Teodora / Paese: Danimarca / Anno: 2010 / Durata: 113 minuti
LINK
CULTFRAME. Dopo il matrimonio. Un film di Susanne Bier
Filmografia di Susanne Bier
Festival Internazionale del Film di Roma
Teodora