Abbiamo incontrato il regista curdo iraniano Bahman Ghobadi, a cui il festival torinese Sottodiciotto ha dedicato una retrospettiva, curata da Marco Dalla Gassa e Fabrizio Colamartino (comprendente 5 lunghi, 2 corti, 1 medio e 2 film da lui interpretati), in virtù delle molte pellicole che ha dedicato ai più giovani. Da due anni e mezzo Ghobadi non può rientrare in Iran, dov’è nato e cresciuto, ed è venuto a Torino prendendosi una pausa dalla preparazione del suo nuovo film, che dovrebbe girare in Turchia.
Cosa può dirci di questo suo nuovo progetto?
Parlerà di un settantenne che dopo aver passato molti anni in carcere si mette in cerca dei suoi familiari, delle sue radici. Per una volta non sarà un giovane, ma un migrante iraniano, come me. Oggi sono in lista di attesa per ottenere lo status di rifugiato. Negli ultimi due anni e mezzo ho vissuto in oltre venti paesi e i miei effetti personali sono un po’ in Iran, un po’ in Iraq, altri negli Stati Uniti, in Francia e a Berlino. Atterrando a Torino mi hanno perso la valigia e in quella valigia c’è tutta quella che è oggi la mia vita [per fortuna il bagaglio è stato poi ritrovato].
Comunque, se non cambio qualcosa all’ultimo, comincerò a girare a gennaio, in Grecia e forse in Turchia. Ma non posso dirvi di più perché non sono ancora neanche sicuro di che lingua dovrò usare nel film. Penso sarà in turco, greco e farsi. Al momento sto cercando di imparare l’inglese, ma per me è molto difficile, e non posso lavorare con attori iraniani che parlerebbero la mia lingua, il farsi, perché chiunque collabori con me rischia di avere seri problemi in Iran, dove il regime segue e denuncia tutto quello che faccio.
Anche nel suo ultimo film, I gatti persiani (2009), Premio Speciale della Giuria de “Un certain Regard” di Cannes, ha modificato gran parte della sceneggiatura poco prima delle riprese.
Una settimana prima delle riprese il film doveva ancora essere la storia di due sorelle che suonavano assieme, e della relazione di una di queste, lesbica, con la sua fidanzata. Poi ho conosciuto quei ragazzi, che poi sarebbero diventati i miei protagonisti, che stavano cercando il modo di mettere insieme una band in Iran, e ho deciso di raccontare la loro avventura. Posso permettermi queste libertà perché tutti i miei film sono autoprodotti e a piccolo budget.
Lei ora trascorre parte della sua vita nel Kurdistan iracheno, dove contribuisce anche a far vivere una scuola di cinema. Dopo la guerra in Iraq e con l’attuale governo iraniano qual è oggi la situazione del Kurdistan diviso tra questi due paesi?
Io sono stato sempre contro la guerra, ma in Iraq si è dovuto scegliere tra il peggio e l’ancora peggiore: l’invasione degli americani è stato il peggio, ma ha avuto anche aspetti positivi. Ora l’Iraq ha una sorta di federalismo che è l’obiettivo in cui sperano anche i curdi iraniani. E spero che Erbil, dove insegno cinema, possa diventare un importante centro culturale. Oggi, grazie a un ex ministro e oggi produttore, nella regione si realizzano sei o sette lungometraggi l’anno, siamo riusciti perfino a fare un piccolo festival.
Anche l’Iran è un paese con diversi popoli, culture e linguaggi e io come curdo li rispetto e difendo tutti. Ma in tutta la storia dell’Iran nessun governo ha mai governato con uguale giustizia per la minoranza curda. Ora dobbiamo riuscire a cambiare il governo iraniano, senza una guerra e senza l’invasione di un esercito straniero, ma l’aiuto delle potenze straniere sarà molto importante per cambiare le cose in Iran. Nelle ultime elezioni i grandi paesi stranieri sono restati a guardare, nessuno ha realmente aiutato Mossawi nonostante i milioni di voti che era riuscito a raccogliere in suo favore.
Qual è la situazione dei giovani iraniani, come vede il movimento della “rivoluzione verde”?
L’Iran è il paese più giovane nel mondo, con il 70% di popolazione giovane. Il pericolo più grande è che i giovani di talento vengano sprecati. Il governo iraniano è come un uomo che prende la testa di un ragazzo, i giovani del mio paese, e cerca di tenerla sott’acqua. Sono più di trent’anni che il giovane cerca di tirar su la testa, e respirare per un momento, prima che la mano lo ricacci giù. Io spero che essendo riuscito a sollevarsi qualche volta lo farà di nuovo. Quella mano oggi trema, non è più forte come un tempo. Anche se penso che in Iran non potremmo mai stare tranquilli di chi ci governerà.
La così detta “rivoluzione verde” si sta evolvendo in qualcosa di diverso, per essere davvero un movimento del popolo. Mi hanno detto che tra i colori che useranno nei prossimi manifesti ci sarà molto arancione, il colore degli operai e della povera gente. Oggi l’Iran ha un governo che non è stato scelto dal suo popolo, che non rispetta i diritti umani né le donne. Bisogna avere il coraggio di trovare le radici di questi problemi e non limitarsi a seguire il caso di Sakineh, attraverso il quale il governo sta prendendo in giro tutto il mondo, mentre centinaia di donne e uomini continuano a essere arrestati e condannati per motivi politici. Speriamo che qualcosa possa cambiare.
Lei come ha iniziato ad appassionarsi di cinema?
Non ho mai avuto un particolare amore per il cinema. Sono cresciuto in una piccola città di confine dove c’era una sola piccola sala cinematografica che aveva, al piano di sotto, un negozio di panini. Ci andavo spesso con mio zio e per me era quasi un rito mangiare panini e bere coca cola nel buio della sala: e in effetti finivo di mangiare anche la carta di quei panini, ma il mio amore per il cinema è nato così! Ora uso il cinema come uno strumento, come un’arma per denunciare le condizioni del mio popolo.
I suoi primi passi nel cinema si devono alle collaborazioni con maestri iraniani come Abbas Kiarostami e Makhmalbaf padre e figlia. Come li ha conosciuti e cosa pensa del loro cinema?
Ho sempre amato il cinema di Kiarostami. Soprattutto i suoi primi film. Da studente iniziai a cercarlo dappertutto e l’ho importunato talmente tante volte da riuscire a fargli spostare nel Kurdistan il suo progetto di film per Il vento ci porterà via (1999) [di cui Ghobadi sarà aiuto regista e interprete]. Su quel set mi sono occupato prevalentemente della parte organizzativa e non ho imparato molto di come si facesse il cinema. Ma così ho conosciuto Makhmalbaf che è venuto in Kurdistan con sua figlia perché voleva anche lui conoscere la regione e ambientarci un film. Avevamo pensato di fare un film su di un viaggio da Teheran al Kurdistan diviso in tre episodi diretti da Makhmalbaf, da sua figlia e da me. Alla fine quel film l’ho fatto solo io. Prima di queste opere l’immagine dei curdi nel cinema iraniano era pessima, venivano sempre rappresentati come trafficanti di droga o di persone. Oggi le cose sono finalmente cambiate e questo si deve anche a Kiarostami e Makhmalbaf.
© CultFrame 12/2010
IMMAGINI
1 Il regista iraniano Bahman Ghobadi
2 Frame del film Dove volano le tartarughe di Bahman Ghobadi
LINK
CULTFRAME. Sottodiciotto Film Festival. XI Edizione. Torino
Filmografia di Bahman Ghobadi
Sottodiciotto Film Festival