Considerato uno dei fotografi italiani più significativi del secondo dopoguerra, Ugo Mulas (Pozzolengo 1928- Milano 1973) è indubbiamente un autore dalla personalità sfaccettata. La monografia di Elio Grazioli, studioso di arte contemporanea e fotografia, ci fornisce una ricostruzione completa del percorso compiuto dal fotografo, illustrandone con chiarezza e semplicità quasi manualistica i vari passaggi. Grazioli propone di interpretare l’intera vicenda artistica di Mulas (dagli inizi neorealisti nel contesto milanese sino agli esiti concettuali delle Verifiche) come un percorso da leggere in senso unitario attraverso la capacità di Mulas di aggiornare costantemente la propria ricerca, nonché la necessità morale di indagare la verità mediante un confronto con la realtà.
A Milano, nel 1951, Mulas decide di abbandonare gli studi di Giurisprudenza e comincia a frequentare il corso serale di nudo all’Accademia di Brera, incontrando quel gruppo di artisti e intellettuali che si radunavano al bar Jamaica. Questi anni giovanili sono segnati per il Mulas fotografo autodidatta dall’attenzione al fotogiornalismo e dal rapporto con il cinema neorealista. Il tema della visione – come nota Grazioli – è per Mulas vissuto sin da subito in chiave esistenziale “nel senso di una scelta che vuole intrecciare la vita, l’etica e l’estetica, dunque la verità e il comportamento fin dentro la peculiarità del mezzo e del linguaggio che il fotografo usa […]”. Il primo lavoro in cui Mulas si cimenta è un reportage della Biennale di Venezia del 1954, nel quale cattura locali, ristoranti, caffè, dimostrando una certa attrazione verso il rito collettivo della festa. Con questo primo reportage diventa già evidente come Mulas prediliga, più della ricerca autobiografica, l’osservazione degli artisti e come lo sviluppo della sua creatività avvenga attraverso un rapporto con la creatività altrui. Mulas sarà anche un grande fotografo di moda, gioielli, teatro e architettura. La collaborazione con il mondo della moda gli offrirà un altro mezzo di sperimentazione, infatti lungi dal cedere all’idea diffusa di una fotografia di moda atta a costruire un immaginario di sogno, accorderà le foto di moda alle proprie istanze di ricerca artistica, contestualizzando gli abiti in scenari reali. Negli anni sessanta, in un clima diverso, sceglierà ambientazioni metafisiche piuttosto che neorealiste per gli abiti, degni per Mulas di essere fotografati in quanto simboli del lavoro intellettivo dello stilista-artista. In tal senso, nel 1969, Mulas realizza gli scatti che ritraggono i gioielli di Arnaldo Pomodoro e, nel 1970, instaura un sodalizio creativo con la stilista Mila Schön. Il lavoro per il teatro comincia invece nel 1960, quando Mulas realizza un servizio in Russia, in seguito alla collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano. Il confronto con il teatro, e in particolare con Strehler, costituisce per Mulas un’occasione per interrogarsi sulle possibilità della fotografia. Non si tratta infatti di scattare foto posate il cui scopo sia quello di pubblicizzare lo spettacolo e attirare spettatori, bensì di realizzare un reportage che documenti, anche per rifacimenti futuri, le scelte esecutive del regista. La macchina fotografica viene posta da Mulas al centro, nella posizione del regista, così da fotografare la scena in maniera impersonale, come se si trattasse di un quadro. Il fotografo è fermo, è il teatro che si muove.
Mulas è conosciuto anche come ‘fotografo degli artisti’. Il confronto con la loro creatività rappresenta un mezzo per interrogare e definire anche la propria. Si tratta dunque di un atto fortemente critico. Nel 1962 ritrae Giacometti, vincitore della Biennale di Venezia; ma il primo confronto fondamentale sarà con l’amico Alexander Calder, al quale dedicherà un intero libro di scatti giocando sulle reciprocità tra l’artista e le sue opere. In questa fase di ricerca è il fascino misterioso dell’uomo artista a interessarlo. Un’altra tappa significativa è offerta dall’illustrazione di Ossi di seppia di Eugenio Montale, che in mano a Mulas diventa un esercizio di sottolineatura, di associazione tra testo e immagine. Nel 1964, dopo che la Biennale ha consacrato la Pop art americana con la vittoria di Robert Rauschenberg, Mulas intraprende un viaggio negli Stati Uniti per documentare il fenomeno. Tra gli artisti visitati nei loro studi sotto il patrocinio del critico Alan Solomon (Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Andy Warhol) sarà Rauschenberg a impressionarlo in modo particolare. Il soggiorno americano consente a Mulas di confrontarsi con il valore sempre più concettuale e mentale dell’arte; questa nuova istanza è documentata da una serie di ritratti, come ad esempio quello di Barnett Newman, fotograto mentre cammina o gesticola di fronte a una tela vuota. Il frutto del reportage americano sarà il libro New York: arte e persone, pubblicato nel 1967. Mulas comincerà a considerare sempre di più la propria fotografia come ready made: il fotografo compie un’azione mentale prima di scattare la foto, mentre quando scatta è soltanto un operatore. Naturalmente, sono le sequenze scattate a Marcel Duchamp a New York a fornire a Mulas nuovi spunti di riflessione: “in fondo è l’operazione di Duchamp quando indica un oggetto e lo sgancia dalla sua realtà abituale […] come egli dice, ha creato un nuovo pensiero per quell’oggetto. Per il fotografo, in un certo senso, è la stessa cosa, il fotografo sceglie quello che deve fotografare: il suo lavoro consiste soprattutto in questa scelta; non è evidentemente, soltanto una scelta dell’oggetto o comunque dello spazio, ma è una scelta di tempo, di luce, di angolazione, di punto di vista”. Non bisogna dimenticare l’incontro newyorkese con Robert Frank, che diventa per Mulas il corrispettivo in fotografia di Duchamp. Testimone di questa nuova consapevolezza di Mulas dell’arte come atto mentale, è anche la famosa sequenza del 1964, che ritrae Lucio Fontana al lavoro un attimo prima di eseguire i suoi famosi tagli della tela e un attimo dopo.
L’ultima importante fatica di Mulas, che sancisce anche la chiusura del suo percorso, sono le Verifiche, realizzate tra il 1968 e il 1972. Secondo Grazioli, le premesse di questa serie erano già contenute nell’attività precedente. Le Verifiche rappresentano da una parte l’aggiornamento critico di Mulas sugli esiti dell’arte contemporanea (dalle correnti riduzioniste alle istanze concettuali) ma allo stesso tempo siglano un intero percorso di ricerca volto ad indagare l’essenza del medium fotografico attraverso un confronto con la realtà. Non a caso, la Verifica n. 1 (1971), evocazione della prima immagine fotografica, è un grande omaggio a Joseph Nicéphore Niépce e alle sue scoperte sull’impressionabilità della luce.
© CultFrame 12/2010
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Ugo Mulas. Un libro di Elio Grazioli (Testi e pretesti)
CREDITI
Titolo: Ugo Mulas / Autore: Elio Grazioli/Editore: Bruno Mondadori, 2010 / Collana: Testi e pretesti / 215 pagine / Prezzo: 19.00 euro / ISBN: 978-88-6159-473-9.
LINK
CULTFRAME. Ugo Mulas – Maestri della fotografia
CULTFRAME. United artists of Italy. Artisti nell’obiettivo dei grandi fotografi
Bruno Mondadori
INDICE
Da Pozzolengo a Milano / “Un centesimo e undici al sole, un venticinquesimo e cinque-sei all’ombra” / la festa e il lavoro / Fotografare il teatro / Il fotografo degli artisti / Calder / Ossi di seppia / Pop art, ma non solo / Il libro / Fotografia americana / Moda e gioielli /Altri artisti / La Biennale della contestazione / Per l’opera lirica / Ancora l’arte degli altri / Le Verifiche / Gli ultimi anni / Dopo le Verifiche / Mulas a colori / Biobibliografia