La South London Gallery, fondata in piena epoca vittoriana e stabilita dal 1896 nella sede di Camberwell, è uno spazio espositivo interessante, che si è imposto al largo pubblico grazie ad un fitto ed intelligente programma di eventi e all’alternanza di personali e collettive di artisti contemporanei affermati. In questi giorni, la galleria ospita una mostra dei lavori di Manon de Boer, artista olandese segnalatasi per le sue video installazioni e le ricerche sul movimento, la memoria e la diegetica del sonoro.
De Boer predilige essenzialmente lavorare in formato 35 e 16 millimetri e i suoi lavori possiedono una qualità documentaristica cui si associa la particolare attenzione al rapporto suono-immagine e l’effetto che questa correlazione ha sullo spazio post-filmico e di diffusione dell’opera. Spesso, la fonte sonora è all’esterno dell’inquadratura e ciò concorre ad estendere lo spazio, al punto che lo spettatore non è più semplice testimone dell’evento, ma entra a far parte della performance, mentre suoni e cesure ridisegnano geografie e sensazioni.
I temi della ricerca artistica di de Boer sono essenzialmente basati sull’esplorazione del movimento e la memoria, in tutte le sue implicazioni e sfumature, utilizzando per i i filmati artisti più o meno famosi della scena di Bruxelles, città dove attualmente risiede.
Alla South London Gallery il percorso espositivo propone opere recenti e anche un nuovo lavoro, Dissonant (2010), realizzato con la collaborazione della ballerina Cynthia Loemij. Dissonant è un felice esempio di evento non tanto visivo, quanto aurale, in cui il sonoro si prospetta come ricordo, elemento sincrono alla danza e motore interno all’azione. I tre aspetti della narrazione sono resi possibili attraverso cesure acusmatiche, date dal tempo necessario al cambio della pellicola, che trasformano lo spazio dell’evento.
Inizialmente, la ballerina è ferma, assorta nell’ascolto di un brano del compositore e violinista belga Eugène Ysaÿe (Suonata per Tre Violini); successivamente, la musica si arresta e la danza ha inizio, seguendo a memoria il filo delle note e delle emozioni esperimentate in precedenza. I suoni che accompagnano i movimenti sono sono il respiro e il rumore dei passi della ballerina. A tratti il suono diviene unico protagonista, mentre lo schermo diviene bianco e il tempo di cesura si tramuta in un momento altro, che può essere interiorizzato dallo spettatore.
Interessante in questo senso è Two Times 4’33”(2008), duplice interpretazione di performance e suono, in cui Jean-Luc Fafchamps esegue la famosa opera di John Cage. Il filmato va visto dall’inizio e, per questo, gli assistenti di sala si adoperano ad indirizzare lo spettatore verso il Clore Studio quando è il momento necessario. Il pianista è ripreso due volte mentre esegue il pezzo di John Cage, di cui la seconda è una panoramica circolare, che muove dal piano al pubblico, al giardino fuori dalla vetrata, per tornare al musicista nell’atto di chiusura e all’applauso fuori campo a schermo spento. L’opera assolve così alla dimostrazione che tanto una rappresentazione oggettiva, quanto l’idea di un assoluto silenzio sono difficili, se non impossibili, da realizzare.
Anche il concetto di suono perfetto appare più che mai un’astrazione, come rivela Presto, Perfect Sound (2006), dove de Boer chiede al compositore George Van Dam di eseguire una sonata per violino di Bela Bartok in sincronia con i passaggi migliori, selezionati dal musicista stesso dalle sezioni di un CD. Il filmato è stato poi rielaborato e tagliato per preservare tanto la sincronia suono-immagine, quanto la fluidità dell’esecuzione.
In una raccolta saletta al piano superiore della galleria, un’installazione sonora suscita una gamma diversa di emozioni. Switch (1998) esplora il potere quasi magico della parola, la fascinazione di ritmo, tono e intonazione della voce, grazie alla collaborazione di Alison Goldfrapp, cantante britannica, che qui si presta ad interpretare tre monologhi, in una congerie di lingue diverse.
Esplorando la relazione tra linguaggio, tempo e movimento, Manon de Boer suggerisce l’esistenza di uno spazio parallelo, che, arricchito da editing ed esperimenti sulla diegetica dell’opera, mette in discussione il primato dell’immagine sul suono e stimola lo spettatore su un piano tanto fisico quanto intellettivo.
© CultFrame 01/2011
IMMAGINI
1 Manon de Boer, still from Sylvia Kristel – Paris, 2003. super-8 film transferred to video, 39’. colour, stereo sound, French spoken, English subtitles. courtesy: Jan Mot, Brussels
2 Manon de Boer, still from Dissonant, 2010. 16mm film, colour, sound, 10’ 40” looped. courtesy: Jan Mot, Brussels
3 Manon de Boer, still from Presto, Perfect Sound, 2006. 35 mm film or 35 mm film transferred to video, 5’ 40”. colour, sound. courtesy: Jan Mot, Brussels
INFORMAZIONI
Manon de Boer: Framed in an Open Window
Dal 3 dicembre 2010 al 23 gennaio 2011
South London Gallery / 65 Peckham Road / Telefono: +44 020 77036120
Orario: Martedì – Domenica 11.00 – 18.00 / Mercoledì 11.00 – 21.00 / Ingresso libero