Walter Rosenblum: In Search of Pitt Street. Un film di Nina Rosenblum

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

walter_rosenblum-d_dayQuali elementi definiscono la statura culturale e intellettuale di un fotografo? Le questioni da affrontare sarebbero innumerevoli e riguarderebbero tutti gli aspetti creativi della carriera di un autore. Ma non è detto che ci si debba limitare a ciò. Il problema è non fermarsi a un’analisi semplificatoria, poiché ogni artista è un individuo, con il suo bagaglio personale, il suo carattere, il suo percorso soggettivo. Dunque, un universo a se stante. Esistono nel campo della fotografia, autori dotati di indiscutibile talento ma eticamente aridi, altri nei quali prevale la sfera umana e sociale a scapito di quella estetica, altri ancora che tentano di mescolare ricerca della bellezza e sostanza poetica. E così potremmo continuare a lungo.
Nel caso di questo articolo, ci interessa mettere in evidenza l’aspetto, per noi centrale, della costruzione di una poetica visuale che non sia distaccata da uno sguardo sensibile. Non sono stati molti i fotografi che hanno fatto la storia di questa disciplina capaci di intrecciare acutezza estetica (poi spiegheremo che cosa intendiamo per estetica) e delicatezza di pensiero e di comportamenti.

Uno di questi casi è stato certamente quello di Walter Rosenblum, autore strettamente legato alla figura di Paul Strand e membro per molto tempo della Photo Leaugue. Utile, per chiarire lo spessore di questo fotografo, è il film girato dalla stessa figlia di Rosenblum, Nina, intitolato Walter Rosenblum: In search of Pitt Street (1999). Si tratta di un ritratto, amorevole e celebrativo, di un uomo che durante tutta la sua carriera non perse mai di vista due componenti: la sincerità espressiva e l’etica professionale.
Il film proiettato al Museo di Roma in Trastevere, nell’ambito della mostra dedicata alla “coppia artistica” Strand/Rosenblum, ha ben delineato lo spessore di un creativo che ha costantemente agito avendo presente la responsabilità del suo ruolo e valutando le questioni dei comportamenti e delle scelte personali.
Tra gli argomenti affrontati da Walter Rosenblum nel documentario a lui dedicato è emerso con forza quello del rispetto verso l’altro, e ancor di più verso chi si trova in una condizione di sofferenza e di disagio individuale e sociale. Rosenblum ha, ad esempio, tenuto a sottolineare che la sua attività ad Haiti non fu mai svolta in senso “turistico/colonialista”. Il suo lavoro nell’isola caraibica non fu improntato alla mera rappresentazione (fine a se stessa) della povertà e dell’emarginazione. Nei ritratti femminili e infantili di Rosenblum emerge, sempre e comunque, l’ambito estetico (non estetizzante, sia chiaro), stimolato non dalla banale e inappropriata (nel caso dei soggetti ripresi dal fotografo) “ricerca della bellezza” ma dal “sentimento della percezione”, componente quest’ultima che permette a un’immagine di palesarsi come manifestazione di un sentire profondo e filosofico/poetico che nulla ha a che fare con la superficie dell’immagine stessa.

Un’analisi non convenzionale può essere effettuata anche per quel che riguarda la celeberrima fotografia del soldato americano durante lo sbarco in Normandia (Rosenblum era membro delle truppe da sbarco che avviarono la definitiva disfatta del nazismo). Lo stesso Rosenblum afferma, infatti, che più che la figura rappresentata in sé, e l’attimo “decisivo” fermato dallo scatto, ciò che ha fatto divenire quest’opera degna di nota è stata la sua sostanza evocativa, sostanza che alludeva alla condizione (non costruita a tavolino) di “eroe” della lotta contro il nazifascismo. Questa fotografia, in sostanza, non esaltava solo l’impresa del soggetto ripreso ma riassumeva in un’icona l’eroismo di tutti quelli che in quel giorno sbarcarono in Normandia, molti dei quali persero la vita per liberare il mondo dal lucido e agghiacciante delirio del nazismo. E tale, alta, forma di eroismo generalizzato fu dispersa nell’anonimato dell’impresa collettiva, elemento quest’ultimo che racchiude in sé il grande valore morale (al di là delle azioni dei singoli) dell’annientamento della piaga nazista.
Ed ancora. Walter Rosenblum racconta come sia stato uno dei primi soldati americani a entrare nel campo di sterminio di Dachau, in Germania. Il fotografo afferma come, in quell’occasione, di fronte allo scempio di esseri umani che si palesò ai suoi occhi non ebbe la forza di realizzare alcuno scatto (anche se dice: “avrei dovuto farlo”). A differenza di sue illustri colleghe, come Margaret Bourke-White e Lee Miller, Rosenblum ebbe il coraggio (e non usiamo tale termine con leggerezza) di abbassare l’obbiettivo della sua macchina fotografica, sentendo intimamente che in quegli istanti il sentimento della pietà umana e il rispetto verso chi aveva subito umiliazioni e vessazioni indicibili dovevano prendere il sopravvento sull’esigenza della rappresentazione dell’orrore.

Da quanto evidenziato fino a ora, emerge la figura di un fotografo di cristallina sensibilità, il quale certamente non utilizzò il dispositivo ottico come strumento algido di cinico prelevamento della realtà a tutti i costi. Il suo sguardo non fu rapace e colonialista, la sua sfera umana non arretrò rispetto alla sua immagine pubblica di fotografo. Evidentemente, Rosenblum non aveva mai dimenticato le sue origini, il fatto che la sua storia di figlio di immigrati ebrei negli USA era caratterizzata da una reale vicinanza verso i sofferenti e i deboli, condizione che generava quel “sentimento della percezione” che è sempre stata la sua principale caratteristica poetico/creativa.
Quella di Walter Rosenblum è un’autentica lezione per tutti quei fotografi di oggi che pensano che l’espressione fotografica individuale debba passare attraverso il filtro della vacua affermazione narcisistica della propria personalità professionale. In tal senso, il coraggio e l’umanità di un fotografo non è riscontrabile solo nella sua produzione tangibile ma anche negli scatti mai effettuati e in quelli volutamente non esibiti.

© CultFrame 01/2011


IMMAGINE

Walter Rosenblum. Il D-Day dello sbarco in Normandia. Francia, 1944. © Rosenblum Family

CREDITI FILM
Titolo: Walter Rosenblum: In Search of Pitt Street / Regia: Nina Rosenblum / Fotografia: Dejan Georgevich / Montaggio: Steven Olswnag, Satoko Sugyiama / Musiche: Leon Parker / Produzione: Daniel V. Allentuck, Nina Rosenblum, Sonya Starr / Anno: 1999 / Paese: USA /Durata: 60 minuti

INFORMAZIONI MOSTRA E PROIEZIONE FILM
Prossima proiezione: sabato, 5 marzo 2011, alle ore 17.00 / Museo di Roma in Trastevere
Mostra: Paul Strand e Walter Rosenblum – corrispondenze elettive
Dal 21 gennaio al 20 marzo 2011
Museo di Roma in Trastevere / Piazza Sant’Egidio 1/b, Roma / Telefono: 06.5816563
Orario: martedì – domenica 10.00 – 20.00 / chiuso lunedì

LINK
CULTFRAME. Scatti di Guerra. Dallo sbarco in Normandia a Berlino. Mostra di Lee Miller e Tony Vaccaro
CULTFRAME. Margaret Bourke-White. Una mostra a Firenze
Rosenblum Photo
Museo di Roma in Trastevere

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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