L’arte contemporanea è di sola proprietà (intellettuale) dello stesso mondo dell’arte, dei critici, dei galleristi, dei collezionisti e dei curatori? Certamente no. Sarebbe una posizione fin troppo aristocratica. Addirittura fastidiosamente razzistica, per non dire totalmente anti-democratica. Ecco, questa sembra essere la parola chiave del Padiglione Italia della 54° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia: democrazia. Il fatto è che è stata usata a sproposito, poiché democrazia non è sinonimo di caos e casualità, e di gusti personali. Semmai democrazia è condivisione di regole, regole approvate dalla maggioranza (che devono però essere prima discusse e poi rispettate da tutti).
Questo breve prologo ci serve per gettare le basi sul Padiglione Italia, che così tante polemiche ha generato. Sgombrerei il campo dai personalismi. E’ chiaro che la figura di Vittorio Sgarbi porta con sé un vivace dibattito (e questo lo sa anche lo stesso critico ferrarese), dunque cercherò di non scrivere un pezzo pro o contro Sgarbi, sarebbe del tutto inutile.
Vorrei però cercare di capire se il Padiglione Italia, come si è detto, è stato realmente “sottratto alle cricche e ai clan dell’arte contemporanea”. La prima considerazione è che la segnalazione personale (da parte di un intellettuale) non mi sembra il massimo della democratizzazione dell’arte contemporanea. Sinceramente mi importa poco quali artisti piacciano a Ennio Morricone, Wladimir Luxuria, Giulio Giorello, Dario Fo o Tahar Ben Jelloun (solo per citare alcuni). Anzi, questo procedimento appare quanto di più elitario e snob si possa anche solo immaginare. Forse l’arte contemporanea può essere compresa solo dai rappresentanti dei ceti intellettualmente dominanti costituiti da quelli che vanno in televisione o scrivono libri e che poi regalano il loro sapere al popolo?
Dall’altra parte è probabilmente vero che questo settore dell’arte mondiale ha i suoi “gruppi” ben definiti e che molta produzione artistica sia entrata nel meccanismo capitalistico della moda internazionale e di quel “fighettume ricco” che pensa di poter comprendere l’arte contemporanea solo perché possiede i soldi sufficienti per acquistare opere che un impiegato delle poste non potrebbe mai permettersi neanche mettendo insieme tutti gli stipendi mensili di una vita di lavoro più quelli della pensione fino alla morte.
E dunque dove sta la verità in questa situazione? Probabilmente non c’è e si trasforma solo in una questione di punti di vista. I clan ci sono, i ricchi snob anche (che trasformano l’arte in puro veicolo promozionale), ma l’impostazione data al Padiglione Italia non fa altro che spostare il problema da “settori elitari” alle amicizie e ai gusti personali (il che forse è ancora peggio).
Altro punto: l’allestimento. E’ stato detto che il Padiglione Italia è una sorta di “baraccone caotico”. L’aspetto centrale non è tanto nel numero delle opere presenti. Ricordo, ad esempio, edizioni di mostre all’Arsenale talmente gonfie di proposte da rendere spazi espositivi giganteschi labirinti soffocanti e claustrofobici. La differenza tra queste mostre dell’Arsenale (degli anni passati, poiché quest’anno invece c’è molta aria tra le grandi sale della mostra veneziana) e il Padiglione Italia 2011 è che nel primo caso ogni opera proposta era sempre e comunque fruibile in modo adeguato mentre nel secondo caso vi sono alcune prove artistiche assolutamente non vedibili poiché, ad esempio, poste ad altezze non adatte alla fruzione da parte del visitatore.
Infine, un aspetto che forse non è stato del tutto affrontato (e qui dobbiamo parlare dell’operato di Vittorio Sgarbi). Molti hanno attaccato Sgarbi per l’impostazione della sua curatela, ma pochi hanno puntato l’attenzione sul fatto che il critico ferrarese ha potuto mettere in piedi il suo Padiglione con l’accondiscendenza di centinaia di individui, tra artisti e segnalatori. Ebbene, chiunque abbia scelto di partecipare a questa “kermesse” dovrebbe prendersi le sue parti di responsabilità, ben sapendo quali erano le condizioni (a nostro avviso non corrette) nelle quali si sarebbero trovate le opere. Perché prenderserla solo con Sgarbi e non stigmatizzare anche coloro i quali con la loro “presenza” (a vario titolo) in mostra hanno contribuito a generare la confusione del Padiglione Italia?
Il mio sospetto è che il richiamo della Biennale di Venezia sia troppo invitante per molte persone. Vuoi mettere avere nel proprio curriculum di aver partecipato al Festival veneziano, piuttosto che no? È molto difficile resistere a un tale potente richiamo che titilla il proprio (legittimo) narcisismo. E chi se ne importa se la chiamata è arrivata all’ultimo momento, se si è dovuto spedire le opere a proprio carico e se non esisteva una linea nelle scelte curatoriali. L’importante era avere il proprio nome ben visibile e poter poi spendere questa partecipazione nel prossimo futuro.
E l’arte dove va a finire in tutto questo discorso? Per fortuna la Biennale di Venezia è una grande manifestazione, in grado di fornire al visitatore curioso molte possibilità. Basta girare la città e infilarsi nei Padiglioni più nascosti e dei paesi più piccoli e sperduti. Proprio in questi spazi lontani dal glamour e dalle polemiche ho visto le proposte più alte e significative. Lontano dal caos, lontano dalle “luci” dell’informazione, dei mass media e, purtroppo, anche della critica (modaiola).
© CultFrame 06/2011
INFORMAZIONI
54. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia
Dal 4 giugno al 27 novembre 2011
Arsenale / Info: 041.5218828 / promozione@labiennale.org
Orario: tutti i giorni 10.00 – 18.00 / chiuso lunedì (escluso lunedì 6 giugno e lunedì 21 novembre 2011)
Biglietto: intero 20 euro / ridotto 16 euro
Catalogo: Marsilio