Nel 1964 il regista Alberto Grifi e l’artista Gianfranco Baruchello portarono a termine una delle operazioni creative più libertarie e anarchiche della storia della cinematografia. Utilizzarono, infatti, un quantitativo enorme di pellicola proveniente da produzioni hollywoodiane, materiale destinato alla distruzione, in modo del tutto innovativo. Grazie a questo prodotto di scarto delle majors statunitensi, i due autori realizzarono il film Verifica incerta.
Si trattava di un’operazione totalmente anticonvenzionale, basata su un concetto devastante per la concezione classica del cinema codificato/americano. Il film, infatti, si manifestava come opera che si autogenerava attraverso un sistema narrativo non basato su una sceneggiatura preesistente e incentrato solo su immagini estrapolate dal loro “contesto naturale”.
Alla luce di quanto appena affermato, possiamo oggi sostenere come l’idea di scardinare i meccanismi strutturali e di montaggio della cinematografia tradizionale non sia una novità nell’ambito del panorama internazionale.
Per questo motivo non ci stupiamo del fatto che anche un altro autore, come l’americano Christian Marclay, abbia lavorato, e continui a lavorare, sullo stesso concetto di decostruzione e ricostruzione della logica del racconto filmico. Esempio concreto di questa sua pratica creativa (nonché teorica) è Telephones (1995), un’opera edificata su sequenze basate su conversazioni telefoniche rimontate in modo assolutamente arbitrario.
Nell’ambito della grande mostra allestita all’Arsenale per la 54° Mostra Internazionale d’Arte di Venezia, Marclay ha presentato un’ulteriore evoluzione del suo lavoro di riorganizzazione del linguaggio audivisivo attraverso l’uso del montaggio. Stiamo parlando del film intitolato The Clock, un’opera monumentale e complessa (anche sotto il profilo della sua realizzazione concreta) il cui cardine concettuale è: il tempo.
L’autore ha costituito una griglia narrativa della durata di ventiquattro ore attraverso l’identificazione di centinaia di inquadrature e sequenze di innumerevoli lungometraggi internazionali nelle quali sono visibili orologi che indicano un’ora precisa o nelle quali si parla di quest’ora precisa, appunto. Portato a termine questo processo di individuazione e selezione, ha collocato in maniera consequenziale questi brani filmici ricostruendo una vicenda basata su un racconto che dura un’intera giornata.
Il risultato di quest’operazione è veramente sorprendente poiché nonostante gli spezzoni derivino da prodotti audiovisivi totalmente differenti per genere, epoca, stile, regia, recitazione, ambientazione, luce e aspetti cromatici la sensazione che prova il fruitore è di una perfetta fluidità non solo a livello narrativo ma anche a livello visivo.
Marclay ha effettuato un percorso anomalo (ma come già detto non nuovo) nella storia del cinema affermando come le inquadrature filmiche siano dotate di una sconvolgente forza autonoma che permette loro di continuare ad avere un senso anche se decontestualizzate dal territorio espressivo per il quale erano state concepite e girate. Christian Marclay, dunque, oltre a realizzare un’opera d’arte filmica dotata di un notevole appeal (in primo luogo per i cinefili), finanche divertente, ha compiuto un’elaborazione dal forte impatto teorico, dimostrando, a nostro avviso, come il cinema abbia le caratteristiche fondamentali e imprescindibili di un’arte visiva e come sia un linguaggio espressivo e comunicativo che possa essere svincolato dalla logica del racconto e dal legame spesso castrante con la letteratura e il romanzo.
© CultFrame 06/2011
INFORMAZIONI
Gloria. Padiglione Stati Uniti d’America. Jennifer Allora e Guillermo Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia
Dal 4 giugno al 27 novembre 2011
Arsenale / Info: 041.5218828 / promozione@labiennale.org
Orario: tutti i giorni 10.00 – 18.00 / chiuso lunedì (escluso lunedì 6 giugno e lunedì 21 novembre 2011)
Biglietto: intero 20 euro / ridotto 16 euro