L’occupazione preferita di Enoch è quella di imbucarsi ai funerali di sconosciuti. Li studia con rigore scientifico, osserva con sguardo chirurgico i morti e coloro che si preparano a lasciarli. È in una di queste occasioni che incontra Annabel, coetanea eterea dal largo cappello nero con veletta a lutto per la scomparsa di un parente, quasi una dama d’altri tempi, che invece studia letteralmente la vita, e conosce nei dettagli i comportamenti degli uccelli e degli insetti attraverso gli scritti di Darwin.
La morte attrae e repelle Enoch perché nessuno gliel’ha mai insegnata, ma si è già imposta nella sua esistenza portandone via un pezzo fondamentale. È quindi per non soccombere alla repulsione che il ragazzo –impossibile non associarlo al protagonista di Harold e Maude (1971)- con la morte sceglie di giocarci e conserva come unico amico (immaginario) il fantasma di un kamikaze giapponese. Ma le incursioni sempre più frequenti di Annabel vanno gradualmente a scardinare la scelta di solitudine di lui, e con il suo stile e i suoi modi eccentrici la ragazza inizia a fare da catalizzatore di una storia esemplare ed estrema, mentre su di lei incombe un destino avverso.
Nel nuovo lavoro di Gus Van Sant, presentato all’ultimo festival di Cannes nella sezione “Un certain regard”, il cliché della storia d’amore impossibile tra due adolescenti prende le distanze dai toni alti della tragedia shakespeariana, epperò non si invischia tra il miele e le lacrime di Love story. La riflessione del regista si concentra invece sul legame ancestrale dell’amore con la morte ed emerge attraverso un fitto intreccio di simboli e citazioni che percorrono immagini e parole. I dialoghi scarni e taglienti fendono le scene pulite, geometricamente perfette e a tratti oniriche, sullo sfondo di un freddo autunno americano.
Enoch e Annabel, controcorrente e con il mondo contro, mostrano l’uno all’altra i loro capisaldi e le loro ambiguità insegnandosi a vicenda la vita, la morte e l’amore in una soluzione narrativa in cui non c’è spazio per la ricerca dell’effetto né per i luoghi comuni.
Fondamentale il contributo dei due ottimi protagonisti: l’esordiente Henry Hopper (1990), figlio di Dennis, ironico ed elegante in questo ruolo di border-line in attesa di riscatto, e la penetrante Mia Wasikowska (1989), già nota come ginnasta aspirante al suicidio nella serie americana In Treatment, ma soprattutto come la Alice inquieta e un po’ steampunk dell’ultimo Tim Burton.
E se in Restless è anche molto “il silenzio a raccontare la storia”, come ha voluto far presente lo stesso Van Sant, una nota di merito spetta alla colonna sonora composta da Denny Elfman, che sottolinea i momenti più toccanti del film senza spingere a una troppo facile commozione. Alla musica anche il pregio di supplire alla mancanza di ritmo che a tratti affligge il montaggio, volendo evidenziare una pecca nel lavoro d’insieme.
Van Sant è riuscito a tradurre una storia cupa, basata su temi laceranti, in una dimensione candida ma mai naïf, surreale quanto basta per alleggerire una realtà che non viene comunque mascherata, come in certe graphic novel contemporanee. Restless, che in inglese vuol dire “irrequieto”, come irrequieti sono i protagonisti, ma che può essere letto anche come “senza il resto, interrotto”, come interrotte sono le loro vite e i loro amori, non sarà forse un film epocale. Rimarrà probabilmente un film “senza il resto”, ma vale tanto proprio per il suo essere “irrequieto” e indubbiamente controcorrente.
Emblematica la scena che fissa per mano Annabel ed Enoch, sdraiati sull’asfalto crettato, i contorni dei loro corpi tracciati a terra col gesso come fossero cadaveri sulla scena di un delitto, a voler lasciare il segno del loro passaggio. Torna in mente la posa di Kate Winslet e Jim Carrey su una lastra di ghiaccio in Ethernal sunshine of the spotless mind. E come nel film di Gondry, anche qui fallisce qualsiasi favoleggiamento di riuscire a vivere cancellando i ricordi.
© CultFrame 10/2011
TRAMA
Enoch e Annabel si conoscono a un funerale. Lui è un ragazzo difficile e incline alla depressione da quando ha perso i genitori in un incidente d’auto. Lei, giovanissima e fortemente attaccata alla vita, è malata di cancro e le restano pochi mesi ancora. Nel poco tempo che passeranno insieme nutriranno un amore tanto vero e smisurato da preparare lei a una morte serena e lui ad affrontare finalmente la propria esistenza.
CREDITI
Titolo originale: Restless / Titolo italiano: L’Amore che resta / Regia: Gus Van Sant / Sceneggiatura: Jason Lew / Fotografia: Harris Savides / Montaggio: Elliot Graham / Scenografia: Anne Ross / Musiche originali: Danny Elfman / Interpreti: Mia Wasikowska, Henry Hopper, Ryo Kase / Produzione: Brian Grazer, Bryce Dallas Howard, Ron Howard / Distribuzione: Sony Pictures; Warner Bros. / Usa, 2011 / Durata: 91 minuti
SUL WEB
Sito ufficiale del film Restless (L’amore che resta) di Gus Van Sant
Filmografia di Gus Van Sant
Sony Pictures
Warner Bros.