La mostra sul Postmodernismo, che attualmente occupa tre vaste sale del Victoria and Albert Museum di Londra, è di certo un progetto coraggioso, dal momento che il postmodernismo, inteso come periodo storico caratterizzato da fattori economico-sociali propri del capitalismo e della globalizzazione, non è ancora finito. Non sembra casuale il fatto che l’esposizione prenda in esame il ventennio dal 1970 al 1990, omettendo gli eccessi e le istanze degli anni più recenti nonché gran parte delle teorie post-strutturaliste formulate da Derrida, Barthes e Foucault.
Il percorso teatrale, interconnesso e simultaneo, si concentra, data la natura del museo, sul design, piuttosto che su discipline quali la pittura o la scultura. Al visitatore, digiuno di teorie, l’esperienza viene riassunta come, da un lato, un ripensamento del passato, recuperato, dopo la rottura modernista, attraverso rifacimenti manieristici e contaminazioni; dall’altro, come una pluralità di idee e stili in competizione tra loro.
La presenza del passato è chiara in architettura, dove gli elementi tradizionali fluiscono in maniera complessa, spesso in un pastiche ironico. Il V&A ripropone qui alcuni momenti salienti dell’architettura postmoderna, come la pratica eclettica ed esplorativa di Robert Venturi, la Piazza d’Italia di Charles Moore o la facciata disegnata da Hans Hollein per la Biennale di Venezia del 1980, con la caratteristica mescolanza di colonne di ordini diversi, cara al movimento.
Tuttavia, il passato ripensato in chiave postmoderna non è solo appannaggio dell’architettura. Nel decennio della New Wave le copertine dei dischi della Factory Records disegnate da Peter Saville si rifanno a questo concetto, basti pensare al Cristo nel sepolcro per l’ultimo album dei Joy Division o la Vanitas delle rose di Fantin Latour per Power Corruption and Lies dei New Order.
Il percorso si snoda attraverso una cacofonia di stimuli, in cui l’attenzione slitta su segni e significati diversi, senza riuscire a soffermarsi su un elemento in particolare. Le arti visive sono ben rappresentate, con opere di Jeff Koons, Andy Warhol e Jenny Holzer, e da film postmoderni come Last of England di Derek Jarman e Blade Runner di Ridley Scott. Al video musicale di Laurie Anderson O Superman si accompagnano febbrili estratti da Koyaaniqatsi, di Godfrey Reggio, mentre le geometrie azzardate del Maternity Dress dell’attrice e cantante Grace Jones non hanno meno rilevanza delle creazioni di Karl Lagerfeld o Vivienne Westwood.
Dalle teiere di Alessi agli stereo di cemento di Ron Arad, dalla grafica innovativa di Terry Jones per la rivista i-D al video di Robert Longo per il singolo dei New Order, la mostra londinese è un’esperienza postmoderna di per sé, e ironicamente lascia al visitatore l’arduo compito di orientarsi attraverso una profusione di citazioni, decostruzioni, scritte al neon, cultura pop e trivialità.
© CultFrame 10/2011
IMMAGINI
1 Venturi, Scott Brown and Associates. Vegas, 1966
2 Jean-Paul Goude. Grace Jones, Maternity Dress, 1979
INFORMAZIONI
Postmodernism: Style and Subversion 1970–1990
Dal 24 settembre 2011 al 15 gennaio 2012
Victoria and Albert Museum / Cromwell Road, Londra / Telefono: +44(0)20.7942.2000
Orario: 10.00 – 17.30 / Venerdì 10.00 – 22.00
Ingresso: £12.50
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Victoria and Albert Museum, Londra