Zarina Bhimji è una fotografa e filmmaker che lavora tra Berlino e Londra. Era ancora una bambina, quando, assieme alla sua famiglia e al resto della comunità asiatica, fu costretta ad abbandonare l’Uganda, sotto il regime di Idi Amin, per rifugiarsi in Gran Bretagna. Alla Whitechapel Gallery, una grande retrospettiva delinea, attraverso venticinque anni di fotografie, film ed installazioni, la personale e poetica visione dell’artista. Spostandosi tra India, Uganda e Inghilterra, Bhimji è andata alla ricerca di un passato lontano e perduto. Pulviscolo, macerie, lame di luce, uffici coloniali in disuso o spiagge sconfinate ricreano il senso di uno spazio non più fisico, ma emotivo.
Le opere più significative in questo senso, sono le immagini tratte dalla serie Love 1998-2007. Nelle fotografie di grande formato, scattate in Uganda, gli oggetti divengono evidenze di un’archeologia dello spazio che evoca fantasmi.Fasci di documenti archiviati, lampadari crollati in terra, cani addormentati davanti ad uffici deserti, tombe sconnesse tra selve di banani, cantieri navali che riempiono le spiagge di scheletri coperti di salsedine.
Il trauma dell’abbandono e la nostalgia per la terra natale, ormai perduta, viene rievocato con forza anche nel film Out of The Blue (2002), dove il rigoglio elegiaco della natura ugandese viene interrotto da suoni stridenti, fiamme, grida di uccelli, voci lontane.
I traffici e le rotte migratorie attraverso l’Oceano Indiano fanno invece da spunto a Yellow Patch (2011), il nuovo film dell’artista britannica. Qui, una colonna sonora di grande forza evocativa, composta separatamente, mescolando registrazioni di messaggi radio, rumori di fabbriche e canti di bambini, anima edifici abbandonati nel cuore di Mumbai ed un mare grigio e sconfinato, che lambisce legni marci e ferri arrugginiti.
Lungo il percorso espositivo, ci si imbatte in altri lavori della Bhimji, più incentrati sugli effetti del colonialismo e del post-colonialismo. Nell’installazione del 1987, Breathe – Pure Silence, foto in bianco e nero, colorate a mano e imprigionate in Plexiglas sono sospese su trame di spezie colorate. Avvolte dall’odore pungente del peperoncino e della curcuma, raccontano, con suggestiva bellezza, di procedure di immigrazione controverse ed umilianti, subite dalle donne indiane all’ingresso in Gran Bretagna negli anni ’70. Anime assenti sussistono come impronte in gioielli, scarpe, guanti di latex, pagine di passaporto, lettere applicate su strisce di mussolina.
Cleaning the Garden (1998) è invece una collezione di immagini catturate nel giardino settecentesco di Harewood House, una casa gentilizia nello Yorkshire costruita con i proventi delle piantagioni di zucchero delle Indie Occidentali. L’obiettivo di Zarina Bhimji scava vie che si insinuano fin nel cuore di paesaggi ed edifici dimenticati, dove ancora risuona l’eco di storie e di voci lontane.
I suoi lavori non si limitano a documentare dei fatti, ma a raccontare segni, gesti e suoni provocati dagli eventi. Non si indaga più l’effetto che uno spazio costruito ha sugli esseri umani che lo abitano. Al contrario, ci si chiede cosa resti di quelle energie, di quella vita, una volta che l’edificio è stato svuotato, quando i protagonisti delle storie sono ormai passati, lasciandosi dietro muri scrostati e finestre senza vetri, polvere e trame di ragni che danzano al sole, al vento ed alla pioggia.
© CultFrame 01/2012
IMMAGINI
1 Zarina Bhimji. No Border Crossing, 2006
2 Zarina Bhimji. This Unhinged Her, 2006
INFORMAZIONI
Dal 19 Gennaio al 9 marzo 2012
Whitechapel Gallery / 77-82 Whitechapel High Street, Londra / Telefono: +44(0)20.75227888
Orario: martedì – domenica 11.00 – 18.00 / chiuso lunedì / Ingresso libero
LINK
Il sito di Zarina Bhimji
Whitechapel Gallery, Londra