I colori della passione (The Mill & the Cross), distribuito solo in 20 copie, è ultima fatica cinematografica del cineasta polacco Lech Majeswski. Si tratta di un’opera ardita -almeno per il pubblico italiano- che si addentra nell’osservazione e nell’analisi del dipinto Salita al Calvario di Peter Bruegel, proponendo un nuovo modo di rappresentare il rapporto tra cinema e arte alla luce delle più avanzate tecnologie di computer grafica e 3D.
È come se guardando il film ci si trovasse dinanzi alla spiegazione del capolavoro, operazione di cui inizialmente non ne fossimo a conoscenza. Per buona parte della pellicola le varie situazioni restano slegate, mostrando scene di vita a partire dal risveglio: un mugnaio che mette in moto il suo mulino, una donna e i suoi chiassosi figli alle prese con una nuova giornata, una giovane coppia che esce, l’esercito spagnolo che puntualmente irrompe in questo paesaggio simil-bucolico al tempo dell’Inquisizione e della persecuzione degli “eretici” protestanti. In tale coralità si distinguono il pittore fiammingo che osserva, si adopera nei bozzetti preparatori, inizia a comporre l’immagine; suggestioni e spiegazioni condivise con quello che fu suo cliente e patrono, Nicolaes Jonghelinck, mentre la macchina da presa scorre lentamente sul dipinto in questione completato nel 1564. Poi la scomposizione, le varie situazioni prese singolarmente e osservate con sguardo fisso come fossero tanti piccoli quadri che si animano all’interno. Il movimento è tutto delegato ai personaggi o alla fotografia che crea giochi di luci e ombre, controluce intensi di pathos e simbolica stilizzazione.
Il film muove i suoi passi dall’omonimo romanzo del critico d’arte Michael Francis Gibson che fornisce riflessioni sul quadro e si ricollega al giudizio su Bruegel formulato da Wystan Hugh Auden a proposito de La caduta di Icaro. Qui, come in Salita al Calvario, il fatto centrale accade mentre la vita prosegue indifferente; per questo motivo la rappresentazione è relegata in un angolo se non nascosta, ribaltando così le regole della figuratività. Lech Majewski accoglie la lezione e la filosofia dell’artista e la traspone cinematograficamente creando un’opera policentrica che si compone solo nel finale; inoltre colloca il fulcro della storia, la passione di Gesù, in una molteplicità di avvicendamenti che decentrano il contenuto costringendo l’occhio a scovarlo. Così il Cristo caduto sotto il peso della croce è quasi nascosto da altre figure e da un focus prospettico che canalizza gli sguardi verso Simone di Cirene. E la sofferenza accade sotto gli occhi distratti degli uomini.
La pellicola si fa carico di questo pensiero e procede quasi senza dialoghi attraverso siparietti che si aprono e si chiudono, ritornano a intervalli regolari e compongono una narrazione policentrica fatta di tableaux vivant. Riecheggi de La Ricotta pasoliniana e dello sguardo antonioniano incontrano qui la tecnologia digitale generando un paesaggio suggestivo e surreale che alberga in un tempo sospeso, quasi rarefatto. I risultati sono ipnotici nel fascinoso cielo neozelandese ricomposto per l’occasione e riportato al XVI secolo fiammingo, nel poderoso mulino a vento arroccato sulla rupe che infonde a valle il suo soffio vitale, seguendo l’allegoria di Bruegel tra Dio e il mugnaio. Ne derivano forti suggestioni circa il rapporto tra religione e storia, teocentrismo e molteplice incarnazione terrena. Là dove il mistero della Passione di Cristo, inteso come sofferenza universale, prende forme umane anche le modalità del racconto e della rappresentazione si adeguano all’immanenza.
Lech Majewski, qui in veste di produttore, regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e compositore delle musiche originali, crea un film come opera da contemplare. La quasi assenza di dialoghi se da un lato è utile a “entrare” nel dipinto e a mettere al centro l’arte, dall’altro fa dei personaggi principali (Bruegel, Jonghelinck e la Vergine Maria interpretata intensamente da Charlotte Rampling) degli archetipi. La regia pecca a tratti di ridondanza figurativa e, forse, di un semplicistico espediente finale: una carrellata ottica all’indietro ci porta dall’interno all’esterno del quadro, esposto nel museo di Vienna: un po’ sbrigativo forse e non proprio necessario per un film che si dall’inizio nega informazioni contestuali, lasciando lo spettatore alla sua ricerca del senso in un mare di simboli e allegorie, di riflessioni sulla storia, l’arte, la religione e la vita.
© CultFrame 03/2012
TRAMA
Nel 1564 il pittore fiammingo Peter Bruegel completa l’opera Salita al Calvario, commissionata da Niclaes Jonghelinck. La scena non è ambientata a Gerusalemme bensì nella sua terra, le fiandre, ai tempi dell’occupazione spagnola sotto Filippo II. Bruegel osserva frammenti di vita di alcuni gruppi di persone che confluiranno poi nel suo capolavoro: la famiglia di un mugnaio, due giovani amanti, un’eretica, la gente del villaggio e i cavalieri della Santa Inquisizione. Oltre al pittore e il collezionista d’arte, c’è la Vergine Maria.
CREDITI
Titolo: I colori della passione / Titolo originale: The Mill & The Cross / Regia e produzione: Lech Majewski / Sceneggiatura: Michael Francis Gibson, Lech Majewski / Fotografia: Lech Majewski, Adam Sikora / Montaggio: Eliot Ems, Norbert Rudzik / Musiche originali: Lech Majewski, Jozef SSkrzek / Interpreti: Rutger Hauer, Charlotte Rampling, Michael York, Joanna Litwin, Dorota Lis, Oskar Huliczka, Marian Makula / Produzione: Angelus Silesius, Polish Film Institute, Telewizja Polska (TVP) / Distribuzione: CG / Paese: Polonia, Svezia 2011 / Durata: 92’
SUL WEB
Sito ufficiale del film The Mill & The Cross (I colori della passione) di Lech Majewski
Filmografia di Lech Majewski
CG