Tra i tanti, troppi, misteri che hanno costellato la storia recente del nostro Paese, la strage di Piazza Fontana è uno di quelli che ne hanno segnato una delle pagine più buie e nefande. Dall’esplosione della bomba, a Milano il 16 dicembre 1969, nella Banca Nazionale dell’Agricoltura (che uccise 17 persone e ne ferì 88), fino al 3 maggio del 2005, data dell’ultima sentenza della Cassazione, si sono susseguiti una serie di processi, da Roma a Milano, passando per Bari e Catanzaro, che hanno cadenzato una sorta di oscura via crucis, lunga 35 anni, verso l’impunità della tragedia.
L’interesse degli inquirenti si appuntò da subito sulla cosiddetta “pista anarchica”, con l’arresto di Pietro Valpreda e, solo due anni dopo, si fece strada l’ipotesi che l’attentato potesse invece essere attribuito all’eversione neofascista. Le successive indagini misero in campo altri “presunti colpevoli” come alcuni personaggi di spicco della politica italiana e i servizi segreti deviati ma, in questo fosco dedalo di sospetti e interrogatori, la macchina investigativa ha arrancato per anni, senza far luce su una strage che, ora, rischia di essere archiviata anche nella memoria dei più.
Per non far smarrire nel ricordo di un lontano passato una simile tragedia, Marco Tullio Giordana ha voluto ripercorrere le tappe significative di un’inchiesta che assume qui i contorni di un recupero storico e nel contempo di un’azione di denuncia morale. Muovendo dal libro di Paolo Cucchiarelli. “Il segreto di Piazza Fontana” (al quale il film liberamente si ispira) e dal celebre articolo,“Cos’è questo golpe? Il romanzo delle stragi”, di Pier Paolo Pasolini pubblicato sul Corriere della Sera nel novembre del ’74 (da cui la pellicola mutua il suo titolo), il regista milanese racconta la funesta vicenda per mettere a fuoco un periodo cruciale della nostra storia – quello che segnerà l’inizio dell’incubo del terrorismo e di quella che sarà chiamata “strategia della tensione” – e con il quale il nostro Paese non ha mai smesso di fare i conti.
Suddividendo il film in capitoli, proprio come in un romanzo, Giordana mostra uno spaccato italico e i suoi protagonisti come personaggi che degli accadimenti tessono le fila e ne rimangono imbrigliati, ne conoscono la verità ma la occultano, ne combattano le atrocità ma ne restano vittime… Di una vicenda, assai ampia e complessa, ne estrapola dei momenti-chiave ma, come in ogni procedimento di, inevitabile, riduzione ne paga il prezzo della semplificazione. Nonostante l’accuratezza della ricostruzione storica e una regia che, oltremodo attenta a non scivolare sull’(auto)compiacimento, sfiora addirittura la severità, il film non riesce a sfuggire, in più di un’occasione, al didascalico.
Non era certo operazione facile assemblare fatti, documenti e atti processuali che coprono oltre 40 anni, tuttavia il lavoro di Giordana, seppur pregevole nelle intenzioni, finisce – nonostante il già citato, imprescindibile, processo di snellimento narrativo – per avere, paradossalmente, qualcosa di “troppo”. Nel labirinto di omissioni, insabbiamenti e palesi ingiustizie del Sistema, il regista colloca coloro che furono al centro della storia e ne traccia i contorni con una rappresentazione talvolta manichea che nell’accentuare, con forza e passione, il carattere esterno finisce per smarrirne la sfumatura più intima ed emotiva. Nel dar voce ai molti, moltissimi, personaggi coinvolti, a vario titolo, nella strage, Giordana dimostra l’improba fatica del provare a raccontare una parte– o almeno, di raccoglierne un brandello – di verità ma, al tempo stesso, la facilità di perderla (e perdersi) nei tanti omissis che, come sentieri devia(n)ti la allontanano desolatamente.
Tra Stato e anti-Stato, probi lacchè e anarchici, ottusi investigatori e onesti uomini di legge Romanzo di una strage, nella sua fotografia plumbea, scolpisce nel dolore e nell’incredulità, alcuni dei suoi protagonisti e a fare da contraltare ad un Aldo Moro, (Fabrizio Gifuni in un’impressionante aderenza fisica al personaggio) la cui integrità viene qui esasperata in una sorta di vocazione al martirio, ci sono la forza etica e la digintà dello sfortunato Pinelli e il tormento del giovane commissario Calabresi, sgomento di fronte all’orribile ambiguità con la quale sarà macchiato.
Fatta eccezione per Pierfrancesco Favino che fa proprio, nelle diverse sfaccettature, l’impeto, etico e politico, dell’anarchico che trovò la morte durante gli estenuanti interrogatori in questura, gli altri personaggi sembrano muoversi nei limiti di un netto confine tra il bene e il male. Lo stesso Mastandrea/Calabresi, nonostante un’espressività sapientemente misurata, restituisce qui, attraverso l’afflizione del suo personaggio, un ritratto univoco dell’uomo.
Ed è quel “troppo”, nell’accezione manichea nel voler separare la menzogna dalla verità, a rappresentare il limite del film, ciò che non gli consente di ampliare il respiro verso quel tragico – inteso come delitto perpetrato contro la Giustizia – di cui la nostra, all’epoca, giovane democrazia iniziò a vederne l’abisso.
Tuttavia resta intatta l’importanza della memoria, o il recupero di essa, poiché anche attraverso l’arte – che sia cinema o un’altra forma – come scrisse Elio Vittorini si può, si deve, esprimere un’urgenza: “di non lasciare che la verità appaia morta”.
© CultFrame 03/2012
TRAMA
Milano, 12 dicembre 1969. Nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana esplode una bomba che fa 14 vittime (salite poi a 17) e 88 feriti. Le indagini della Questura sono orientate verso l’ambiente degli anarchici ai quali vengono attribuite le altre bombe esplose in città negli ultimi mesi. Di questo sono convinti gli inquirenti che indagano: il commissario Luigi Calabresi e i suoi superiori, Marcello Guida e Antonino Allegra. Tra i fermati c’è Giuseppe Pinelli, anarchico non violento, mentre viene arrestato Pietro Valpreda (spesso in contrasto con lo stesso Pinelli e da lui allontanato dal gruppo) che viene riconosciuto dal tassista che lo ha accompagnato di fronte alla banca il giorno dell’attentato. Per ottenere da Pinelli la conferma del coinvolgimento di Valpreda si continua a trattenerlo ed interrogarlo oltre i llimiti della legge. Dopo 3 giorni di insonnia e di digiuno Pinelli precipita dalla finestra dell’ufficio di Calabresi e muore. Il commissario non è nella stanza ma finisce, anche a causa dei maldestri tentativi della Questura di spiegare l’accaduto prima come un suicidio e poi come un incidente, di essere indicato come il diretto responsabile. Intanto anche la galassia dei giovani neonazisti viene coinvolta nelle indagini, mentre gli uomini di Stato sembrano non adoperarsi abbastanza per arrivare alla verità. Calabresi sarà ucciso nel 1972 e la sua morte non sarà mai rivendicata mentre alla strage di Piazza Fontana seguiranno processi su processi che non porteranno ad alcun colpevole.
CREDITI
Titolo: Romanzo di una strage / Regia: Marco Tullio Giordana / Sceneggiatura: Marco Tullio Giordana, Sandro Petraglia, Stefano Rulli / Fotografia: Roberto Forza / Montaggio: Francesca Calvelli / Scenografia: Giancarlo Basili / Musica: Franco Piersanti / Interpreti: Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Fabrizio Gifuni, Michela Cescon, Laura Chiatti, Luigi Lo Cascio, Omero Antonutti, Giorgio Tirabassi, Giorgio Colangeli / Produzione: Cattleya in collaborazione con Rai Cinema / Distribuzione: 01 Distribution / Paese, Italia 2012 / Durata: 130’
LINK
Corriere della Sera. Il film Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana
Filmografia di Marco Tullio Giordana
01 Distribution