Era il 1986 quando Laputa uscì al cinema in Giappone. È lecito chiedersi: cosa ci fa, adesso, nei cinema italiani? Sono passati ventisei anni. La Disney ha mutato volto. Sono nate la Pixar, la Dreamworks Animation e altre consimili. Esseri umani, animali, mostri: tutti realizzati digitalmente, fagocitati e riciclati in un’instancabile corsa verso gli effetti più mirabolanti. Però, nei multisala, in mezzo a produzioni 3D, preceduto da trailer ipercinetici del terzo Madagascar e della ‘quarta’ Era glaciale, ecco Il castello nel cielo: per pochi attimi è possibile assaporare un silenzio inaudito e una calma aliena.
Non è un tentativo isolato, bensì parte di una lenta riscoperta. Da qualche anno, la Lucky Red sta producendo (in dvd o al cinema) le versioni italiane dei film d’animazione di Hayao Miyazaki. Se l’ultima uscita era stata I Sospiri del mio cuore, scritto da Miyazaki e prodotto dallo studio Ghibli nel 1995, adesso siamo tornati ancora più indietro, per rispolverare una delle prime opere del neonato studio con il tondo Totoro a farne da simbolo.
Pazu lavora come minatore in un piccolo e povero paese di provincia. Una notte piove sulla sua testa una ragazza, direttamente dal cielo. Finché una pietra azzurrognola al collo della ragazza rimane illuminata, il suo corpo sembra fluttuare nell’aria. Dopodiché, quando la fluorescenza scompare, ecco che lei riprende peso e i due piombano a terra. La ragazza si chiama Sheeta, e la pietra che porta al collo è un’autentica aeropietra, capace di far volare il suo possessore e proveniente da un’isola misteriosa che viaggia nel cielo: Laputa. Pazu conosce quel posto: suo padre è scomparso nel tentativo di trovarlo. Adesso la sua missione è proteggere Sheeta da chi vuole appropriarsi della preziosa pietra (i pirati, l’esercito e gli agenti segreti governativi) e trovare il castello nel cielo nel quale non ha mai smesso di credere.
Aereo-creature meccaniche si rincorrono tra le nuvole. Un robot arrugginito si rianima per distruggere chi lo vuole tenere prigioniero. Ogni elemento tende verso l’alto. E, paradossalmente, la corsa verticale si risolverà in un ritorno al suolo: là dove attaccano le più profonde radici.
La passione per il volo di Miyazaki, in Laputa – Il castello nel cielo, si unisce alle varie declinazioni del lavoro e delle persone che lavorano (le comunità operaie e i valori a esse connessi). La distruzione seminata dalla macchina-robot è la conseguenza/condanna dell’avidità, la sete di potere e il distacco dalla natura e la cultura della natura. I contrasti visivi in Miyazaki conquistano una loro specificità, come il robot sull’isola che cammina (con la qualità cinetica che contraddistingue il disegno animato dello studio Ghibli) con le spalle ricoperte di prato e fiori; o gli steli del grano che crescono indisturbati nel cuore nevralgico e metallico di Laputa.
Il film di Miyazaki veicola messaggi e temi che spaziano dalla politica alla guerra, dalla filosofia alla sociologia. Ma anziché rischiare approcci didascalici o sconfinamenti nella retorica, lascia che ciascun senso affiori semplicemente (e con particolare potenza) dalle sue creazioni visive e dagli intrecci narrativi. Sono opere stratificate, ispirate dalla cultura (giapponese, ma anche occidentale), dall’arte e dalla spiritualità nipponica.
Miyazaki e lo studio Ghibli hanno sicuramente influenzato l’animazione occidentale, soprattutto nella dinamicità delle scene d’azione (prova ne sia l’ammirazione di John Lasseter per il regista giapponese). Sembra così lontano, però, lo spirito del Castello nel cielo dalle nuove produzioni animate occidentali. Si capisce bene che gli intenti sono diversi. L’industria da una parte, la bottega dall’altra; prodotti in serie e mero intrattenimento da una, animazione artistica dall’altra: distinzione semplice e forse riduttiva, ma che colpisce, seduti in una delle poltroncine di un multisala, a guardare un cartone animato del 1986 nel 2012, durante il quale assistiamo, quando Pazu e Sheeta vedono per la prima volta Laputa, a una lunga sequenza silenziosa e un’epifania di rara bellezza.
© CultFrame 05/2012
TRAMA
Il giovane Pazu lavora in un piccolo paese come minatore. È rimasto orfano, dal giorno in cui il padre scomparve mentre era alla ricerca di Laputa, il castello fluttuante nel cielo. Un giorno, Pazu si vede cadere addosso, dal cielo, una ragazzina. Si chiama Sheeta, ed è inseguita dai pirati e dall’esercito per via di una pietra che porta al collo: l’aeropietra, capace di far volare chi la possiede. I ragazzi, i pirati e l’esercito correranno tra le nuvole per trovare Laputa e il castello nel cielo.
CREDITI
Titolo: Laputa – Il castello nel cielo / Titolo originale: Tenkû no shiro Rapyuta / Regia: Hayao Miyazaki / Sceneggiatura: Hayao Miyazaki / Montaggio: Hayao Miyazaki, Yoshihiro Kasahara, Takeshi Seyama / Musica: Joe Hisaishi / Produzione: Studio Ghibli / Distribuzione Italia: Lucky Red / Paese: Giappone / Anno: 1986 / Durata: 120 minuti circa
SUL WEB
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Filmografia di Hayao Miyazaki
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