Sister, il nuovo film della regista franco-svizzera Ursula Meier, si è aggiudicato l’Orso d’Argento Speciale all’ultimo Festival di Berlino. La poetica “sociale” della regista di Home, attraverso una storia a tratti crudele, torna a colpire bersagli inediti.
Abbiamo incontrato Ursula Meier a Roma e siamo partiti dal titolo (internazionale) del film.
Allora Sister o è meglio L’enfant d’en haut ?
Era difficile tradurre il titolo originale (Il ragazzo visto dall’alto); non aveva molto senso perciò ho accettato anche il titolo in inglese che tutti potevano capire. In effetti, mi piace molto l’idea dei due titoli, ovviamente non lo farei per tutti i miei film, ma per questo va benissimo. In fondo così sottolineiamo una certa schizofrenia che c’è in Sister. Una dicotomia tra menzogna e ricerca dei ruoli.
Sister, come anche Home, ci offre una visione della famiglia molto diversa dal solito. Che cosa significa la famiglia per lei?
Nella società di oggi la famiglia è l’ultimo baluardo a cui la gente s’aggrappa. Fino a qualche tempo fa alla domanda “qual è la cosa a cui tenete di più”, la gente rispondeva “il lavoro” oppure “l’amore”; oggi dice “la famiglia”. Ovviamente, le mie esperienze personali non prevedono drammi familiari o divorzi traumatici ma nonostante ciò io continuo a proporre la visione di una famiglia disfunzionale. È qualcosa che mi intriga. Far vivere queste famiglie attraverso il loro modo di essere, attraverso le loro utopie. È la cosa che mi interessa di più.
Ha realizzato che ci ha proposto una visione quasi ottocentesca in un paese modernissimo come la svizzera?
È vero quello che dite. Ho usato la svizzera come fosse Disneyland, con tutta quella gente ricca che sperpera il suo denaro, contrapponendola ad una realtà povera e piena di gente borderline. Io amo i personaggi che sono ai margini, che si muovono al di fuori di una realtà preconfezionata. Fin da piccola ho avuto uno sguardo in grado di vedere diversamente la realtà. Non amo le cose equilibrate, non credo che il mondo sia equilibrato. Amo il melange, le situazioni incompatibili. Non mi piacciono le etichette, la normalità.
Perché ha scelto Gillian Anderson, la signora X-files?
Prima di tutto perché è una grande attrice ed è veramente un peccato che non lavori di più. Poi perché mi serviva un personaggio che parlasse una lingua diversa, per questa figura materna fantasmatica. Un personaggio tendenzialmente vicino al mondo anglosassone. È altrettanto vero che cercavo non per forza un’attrice cinematografica ma abbiamo avuto questo colpo di genio di pensare a Gillian. Le abbiamo mandato la sceneggiatura tradotta in inglese e lei l’ha adorata.
Sister richiama da vicino il cinema dei fratelli Dardenne. Ci sono altri registi a cui si è ispirata?
Maurice Pialat, quello de L’enfance nue, è tra i miei registi preferiti. Ho adorato Robert Bresson e il suo L’argent; e poi Ingmar Bergman, Jean Eustache, François Truffaut e Yasujiro Ozu hanno contato molto per me.
Crede all’esistenza di un cinema europeo?
Perché no ? Ed io potrei essere un esempio lampante! Mi divido tra Francia, Svizzera e Belgio. Viaggio molto in Europa ed incontro molti cineasti. Tutto questo conferma che il cinema Europeo esiste e non conosce frontiere.
© CultFrame 05/2012
LINK
CULTFRAME. Home. Un film di Ursula Meier. Di Nikola Roumeliotis
Filmografia di Ursula Meier