The Zone ⋅ Un libro di Ohad Matalon

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
© Ohad Matalon. Mimoza, 2004

Una strada di cui non si intravede la fine. Ai lati enormi cespugli di mimosa. Il giallo e il verde delle piante, il grigio chiaro dell’asfalto e del cielo. Se ci si sofferma sulle questioni cromatiche e compositive si rischia di affrontare superficialmente l’analisi e l’interpretazione di un’immagine la cui complessità è invece palese. Stiamo parlando di Mimoza, opera del 2004 del fotografo israeliano Ohad Matalon, inserita nel volume The Zone (realizzato nel 2012 per Podbielski Contemporary Berlin).
La bellezza e la rigogliosità degli elementi vegetali nascondono allo sguardo del fruitore il mondo celato dietro di essi. La forza espressiva di questa fotografia, dunque, è certificata dalla sua potenza evocativa. Il suo reale contenuto non è ciò che si vede ma ciò che non si vede, ciò che è lasciato all’immaginazione di chi guarda. Il fuori campo, in sostanza, contribuisce all’architettura visuale dell’opera esattamente come la porzione di mondo catturata dall’obiettivo fotografico. Lo spazio geografico inquadrato fa parte di Gaza, ma l’autore israeliano evita raffigurazioni basate sugli stereotipi alimentati dalla “fotografia occidentale” (in particolar modo europea), costruisce invece una visione profonda e inquietante che pone lo spettatore di fronte al dubbio dell’indecifrabilità, davanti al disagio provocato dai “conflitti” che contrasta con l’indifferenza estetizzante e “altra” della natura. In definitiva, svuota, sottrae e toglie di mezzo per evitare il dannoso effetto di ridondanza.

© Ohad Matalon. To, 2004

Questa particolare tendenza della fotografia di Ohad Matalon emerge anche in un’altra opera contenuta in The Zone: To (2004). Un sentiero di campagna. Sulla destra dell’inquadratura le fronde di un albero, sulla sinistra i margini di un campo. Il centro dell’immagine è occupato da quello che sembra essere del fumo. Ancora una volta Matalon nasconde la direzione di un possibile percorso. Non sembra esserci un approdo, una via di uscita. Il tempo è sospeso, lo spazio non misurabile, il senso di tutto incomprensibile. Lavoro anch’esso evocativo, To comunica un’angoscia sottile e perforante, è la raffigurazione dell’impossibilità di raggiungere un traguardo che sembra vicino ma che ogni volta che appare a portata di mano finisce per smaterializzarsi come fosse l’evanescente e irraggiungibile fattore di un sogno.

Le due opere appena analizzate, ovviamente, non esauriscono il complesso affresco visivo composto da Matalon in The Zone, volume che raccoglie lavori realizzati in un arco di tempo molto ampio che va dal 1999 al 2009. L’autore ha elaborato un mosaico espressivo estremamente variegato e complesso, costituito da elementi simbolici, paesaggi, individui collocati in spazi ambientali, situazioni paradossali e immagini che fanno emergere anche aspetti surreali. La meravigliosa e metafisica desolazione del deserto (Kfar Adumim, 2004) è così messa in contrapposizione all’impostazione kitsch di una stravagante struttura architettonica (Sde David, 2000) , lo stato di abbandono di un agrumento (Pardess, 2003) ai naturali equilibri di un campo di fichi d’india (Zikim, 2002).
Opposizioni, collegamenti, accostamenti, improvvise virate verso l’assurdo, volti, persone, accadimenti, Matalon non cade nella trappola della rappresentazione del “vero” (che abbonda nella fotografia di reportage). Organizza invece un viaggio profondo, onirico e non conformistico in una zona socio-politica che viene raffigurata nei mass-media e negli organi di informazione europei quasi sempre in maniera più che semplicistica.

© Ohad Matalon. Cypress, 2003

D’altra parte Matalon è artista acuto e non convenzionale attivo ormai da oltre un decennio. È stato presentato per la prima volta in Italia nel 2005 nell’ambito della mostra Fotografia Israeliana Contemporanea presso il Museo Andersen di Roma (curatrice Orith Youdovich per FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma) e oggi può essere considerato come uno degli artisti israeliani più riconoscibili stilisticamente a livello internazionale.

La sua può essere definita una fotografia eclettica, cangiante, ricca di spunti e di continue svolte espressive, non estetizzante ma estetica, cioè legata non al bello quanto piuttosto al sentimento della percezione. La sua poetica pur trovando una sua valida concretizzazione nella connessione tra soggetto umano e spazio urbanistico/architettonico, a nostro avviso, possiede una sua dimensione realmente alta nella sua relazione con l’elemento naturalistico/ambientale, come abbiamo evidenziato nella parte iniziale di questo articolo.

A tal proposito vogliamo concludere soffermancoci sulla doppia immagine intitolata Cypress (2003). L’albero è collocato al centro dell’inquadratura. Il suo stato è di apparente sofferenza. La sua solitudine assoluta. La zona intorno sembra essere semibruciata. Nella seconda immagine un fumo denso avvolge l’albero. Il cipresso diviene così una sorta di fantasma, il suo “corpo” già malridotto si smaterializza davanti al nostro sguardo. Pur nella sua rigorosa e distante immobilità comunica una profonda forza vitale. Vuole continuare a esserci, nonostante tutto.

© CultFrame 06/2012

CREDITI
Titolo: The Zone / Autore: Ohad Matalon / Editore: Podbielski Contemporary Berlin / Testi: Vered Zafran Gani, Sagi Refael / Anno: 2012 / Pagine: 123

SUL WEB
Il sito di Ohad Matalon
Podbielski Contemporary, Berlino

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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