L’immagine fotografica tra Kronos e Aion

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

La (ri)lettura de La logica del senso di Gilles Deleuze e il (ri)avvicinamento ad alcuni concetti espressi con molta chiarezza da Carmelo Bene in merito alla “macchina attoriale” in ambito teatrale hanno stimolato per l’ennesima volta in me una riflessione sulla questione del tempo in fotografia. Queste brevi righe serviranno semplicemente per fermare alcuni concetti e per fungere da base teorica per futuri (eventuali) articoli sul rapporto (ammesso che esista) tra fotografia e tempo.

Riaffermiamo però una questione (di partenza): la natura ambigua dell’immagine fotografica. Ebbene, alla luce di ciò il primo mattone della struttura del nostro discorso riguarda proprio le due possibili concezioni di tempo (già evidenziate dagli stoici): il tempo Kronos e il tempo Aion.

Kronos è un’idea del tempo strettamente legata alle convenzioni umane, alla possibilità di organizzazione di un’esistenza cronologica (appunto) scandita con presunta precisione. Kronos estende in maniera estrema il presente, un presente che di fatto finisce per contenere in sépassato e futuro. Proprio grazie a questa concezione si possono misurare “le azioni dei corpi”.

Nell’Aion, invece, esistono solo passato e futuro. Il presente è un punto impalpabile che scorre lunga la linea retta passato/futuro. Questo punto è talmente impalpabile (come già detto) che praticamente non esiste. In sostanza, il presente è impossibile, poiché questo puntino è contemporaneamente ciò che dovrà essere e ciò che è già stato. Ogni atto è  simultaneamente da compiere e già compiuto.

Alla luce del tempo Kronos e del tempo Aion, quale analisi si può effettuare per comprendere la natura del rapporto tra tempo e immagine fotografica?
Sembra inizialmente indiscutibile il fatto che l’immagine fotografica sia contraddistinta dall’Aion, in quanto è “punto evanescente” che evidenzia ciò che dovrà accadere (prima dello scatto) e ciò che è già accaduto (dopo lo scatto). In tal senso, l’istante raffigurato nell’immagine non potrà essere mai “decisivo” (decisivo rispetto a cosa e a chi?) semplicemente perché punto infinitesimale che si sposta lungo la linea retta passato/futuro. Scrive Gilles Deleuze: “…tutta la linea dell’Aion è percorsa dall’Istante che non cessa di spostarsi su di essa, che manca sempre al proprio posto”. Afferma ancora l’autore de La Logica del senso : “Platone dice che l’istante è atopon, atopico”.

Se consideriamo la fotografia come Aion, l’immagine, che ne è il prodotto, sarebbe dunque atopica, cioè “fuori dalla strada comune”, o meglio “un’eccezione” (dal Dizionario Lingua Italiana Gabrielli), un “punto aleatorio”, o anche “il non senso di superficie” (da La Logica del senso di Gilles Deleuze).

Ma proseguiamo nel nostro discorso. Non si può non tener conto, a questo punto, come il risultato dell’immagine fotografica sia l’effetto anche dell’azione dell’otturatore, cioè di un dispositivo che permette alla pellicola o al sensore di entrare in contatto con la luce secondo un tempo inteso come Kronos, cioè tempo che scorre nella durata di un presente misurabile ed esteso (anche se brevissimo). Dunque, l’immagine fotografica sarebbe la misurazione di un atto (o di parte di esso) nel tempo Kronos (e in ogni caso bisognerebbe allargare la riflessione alla fotografia senza macchina fotografica).

Come risolvere questo problema? Sicuramente è necessario un’ulteriore analisi, partendo però dalla presa di coscienza dell’ambiguità profonda che caratterizza non solo l’immagine fotografica (come oggetto finale) ma anche lo scatto e la stessa disciplina fotografica.

Altro punto da tenere presente è che ben sappiamo come questo argomento sia stato al centro di riflessioni filosofiche e ricerche e teorie scientifiche addirittura da millenni e come lo spazio di un articolo non possa consentire di sviluppare un discorso definitivo.

È per questo motivo che non ci resta altro che tentare di mettere a fuoco alcuni passaggi fondamentali che possano servire da guida per le nostre riflessioni. Tra questi appare significativo il lavoro sul concetto di tempo effettuato da Bergson che ha influenzato in maniera evidente il cinema (e sul quale ha scritto molto anche Gilles Deleuze). E per quel che concerne la fotografia?

Chiudiamo con questa domanda rimandandovi a un futuro approfondimento.

© CultFrame – Punto di Svista 07/2012

Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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